di Raffaele Vitali
MONTEFORTINO – Non facile la vita di un arcivescovo alla guida di una comunità in cui ci sono ancora, a quattro anni dal sisma, 51 chiese da riaprire. In cui ci sono ancora comuni senza luoghi di culto, in cui si celebrano matrimoni, messe, e funerali dentro i teatri, come a Rapagnano o Monte San Pietrangeli. Lo sa bene l’arcivescovo Rocco Pennacchio, che nel mentre non lascia nulla al caso, anche quando si parla di San Leonardo, l’eremo costruito, pietra su pietra, da padre Pietro Lavini, che è andato personalmente a visitare.
Arcivescovo Pennacchio, partiamo dalle chiese inagibili.
“Ci sono comuni della diocesi che non hanno neppure un centro di culto, uno di questi è Rapagnano. A suo tempo avevamo proposto di fare un intervento sulla chiesa, per renderla agibile con i fondi della Cei, ma serviva almeno il 30% di risorse da parte del Comune. non è stato possibile. Altri paesi avevano una chiesa meno danneggiata riaperti. Abbiamo stilato un elenco, all’interno dell’ordinanza 84che è in via di semplificazione nelle mani del commissario Legnini che ha fatto una proposta accolta dai vescovi. In questa classifica Rapagnano è al secondo posto. I primi cantieri partono a breve, contiamo di averne dieci all’anno”.
Quali sono le chiese prioritarie?
“La prima è Monte San Giusto, la collegiata. Poi Roccafluvione, Montefalcone Smerillo, Amandola, Penna San Giovanni, Monte San Pietrangeli, dove già è partito il restauro della cripta sotto la collegiata che funziona da chiesa”.
Fede e istituzioni insieme funzionano?
“Ho scoperto la generosità delle comunità per riavere il proprio luogo di preghiera. Penso a Carassai dove tra i cittadini sono stati raccolti 80mila euro. Un segnale importante anche per la Cei che poi copre il 70% dei costi. E così è accaduto anche a Magliano”.
Arcivescovo, parliamo di padre Pietro e dell’eremo che domina l'Infernaccio. Che effetto le ha fatto visitarlo?
“A Montefortino c’è un parroco particolare, don Gianluca che ha potere sul territorio più vasto di tutti. È ampio quasi quanto quello di Fermo e ha una quindicina di chiese su cui lui deve vigilare e guidare. Per girarle tute si fanno più di 90 chilometri. E mi ha stimolato a visitare l’eremo di San Leonardo. Tra tanti luoghi sacri è sicuramente quello più suggestivo. Prima sensazione è stata di stupore. Non immaginavo che ci fossero paesaggi così suggestivi nel nostro entroterra, che non ha niente da invidiare a paesaggi di montagne più blasonate”.
Conosceva la storia?
“Ho capito che questo luogo impervio, in realtà è un crocevia. Un eremo che sorge su un antico monastero, nel cuore di strade antiche tra Marche e Umbria. Quello che oggi sembra assurdo, costruire un punto di approdo, in effetti era normale”.
Padre Pietro?
“Ha una storia 45ennale tra quei monti. Da un lato l’ha reso vivibile e dall’altro lo ha rimaneggiato secondo il suo stile. A qualcuno potrebbe anche sembrare un’opera che viola le antiche vestigia, ma è una struttura abitabile, dove un pellegrino potrebbe sostare. Ho visto anche le celle, senza intonaco ma per lui era superfluo, con stanze sobrie e povere. Padre Pietro è integrato con le rocce, si percepisce la sua presenza”.
Eremo in sicurezza, ma senza poter entrare. Lei cosa pensa di farci?
“Qualora ci fossero lavori di ristrutturazioni, sarebbe comunque un posto di difficile vivibilità, se non altro a lungo termine. Però l’impressione che ho avuto è di un gran movimento di persone. Un giorno feriale e ho trovato tanta gente, famiglie e bambini. È un luogo che evoca storia, di passaggi di persone, un eremo che evoca la stabilità. Un luogo di comunità, di fraternità. E questa è la ricchezza e bellezza di questo posto. Un luogo che ti riconcilia con la natura, con il creato.
Possibilità di intervento? “Se dovessi fare un elenco di priorità, avendo 51 chiese da ricostruire, non ci sono al momento possibilità per poter intervenire anche lì. Un intervento molto oneroso, per la difficoltà, per il trasporto dei materiali. Ma magari si può trovare una sponsorizzazione, sarebbe una strada ottimale”.