Si mobilita anche il senatore Verducci con la Pdl sul campo di prigionia di Servigliano: "I luoghi della memoria sono il collante della nostra identità costituzionale e repubblicana".
di Raffaele Vitali
“Non c’è posto per il fascismo”. Lo dice senza esitare nella nostra intervista Neri Marcorè, l’attore partito da Porto Sant’Elpidio e diventato un riferimento nazionale. “Ho presentato una proposta di legge insieme ad altri colleghi, inclusa la senatrice Liliana Segre, che conferisce il titolo di 'Monumento nazionale' all'ex Campo di Prigionia di Servigliano, oggi 'Parco della Pace'. L'ho pensata innanzitutto rivolta alle nuove generazioni, per il dovere che abbiamo di trasmettere loro la memoria storica, l'enormità della devastazione dovuta alla guerra, alla perdita della democrazia e della libertà. In modo che non accada mai più" aggiunge il senatore Francesco Verducci.
“I luoghi della memoria sono il collante della nostra identità costituzionale e repubblicana. È nostro dovere trasmettere alle nuove generazioni l'esperienza e la memoria di quanto accaduto, in modo che non vada dispersa la consapevolezza del tempo che viviamo” prosegue. Politica e società civile non devono poi commettere un altro errore e a ricordarlo è proprio Liliana Segre: “La lotta all’antisemitismo non si deve mai disgiungere dalla ripulsa del razzismo” aggiunge la Segre, mandando un messaggio ai politici.
Neri Marcorè, lei crede davvero che ci sia un rischio di ritorno al fascismo?
“Vedete il mio braccio? Ho un braccialetto con scritto ‘Io scorto Liliana’. Fa parte di una iniziativa simbolica lanciata da luca Bottura. Credo che le condizioni per cui è nato il ventennio sono ben diverse. Ma non cambiano le parti dell’animo umano, la voglia di affidarsi all’uomo forte a cui deleghiamo la soluzione dei problemi e che ci permette il disimpegno. Mentre la politica in senso lato ci riguarda ‘malgrado noi’”.
Come contrastare questo sentimento?
“Questo sottovalutare fenomeni evidenti, che si manifestano, non mi piace. Ma non possiamo andare verso l’eccesso, come è la proposta del Nobel per la pace alla Segre che come merito ha l’essere sopravvissuta. Con queste proposte si offre il fianco e si va al muro contro muro, chiudendo il dialogo”.
Ma ci sono segnali di intolleranza reali?
“Ci sono dei fenomeni ed episodi che non possono non preoccuparci. Che si chiami fascismo non ha importanza, di certo è qualcosa che non possiamo guardare con tranquillità. Però non cerchiamo lo scontro ma il confronto”.
Ma i giovani come si possono istruire?
“La storia insegna che ci si dimentica spesso del passato e ora che siamo a un secolo in troppi non sanno cosa è stato e quindi figure come Segre o chi ammonisce sui pericoli di dinamiche che hanno portato al fascismo, e che oggi si può chiamare in altro modo, è importante conoscerle e farle conoscere, puntando sui valori”.
E lei lo fa anche a teatro, ad esempio chiamando Michela Murgia sul palco delle Api che dirige?
“Per tornare alla Murgia il suo approccio di persona intelligente e spiritosa e ironica è l’approccio migliore con cui affrontare un discorso del genere. Farlo in maniera cattedratica non aiuta sempre, riflettere ridendo in ‘Istruzioni per diventare fascisti’ fa bene a tutti”.
Lei si ritiene un direttore impegnato? Le stagioni del teatro delle Api sono sempre un successo, merito della sua figura?
“La gente viene a teatro perché le proposte sono interessanti. Poi il nome di richiamo serve per riempire. La voglia di informarsi poi avvicina tutti. Siamo un teatro diverso, vale la pena di rischiare, senza andare troppo oltre per non perdere il pubblico. Dal primo anno ho sempre cercato di richiamare il pubblico con alcuni nomi più conosciuti, poi nel mentre li invoglio a vedere quello che non conoscono”.
Cosa rappresenta questo ruolo per lei?
“Da quando è stato costruito il teatro, dal sindaco Petrini in poi, non ho mai avuto dubbi. Mi piace dare il contributo al paese in cui sono cresciuto e dove, da adolescente, i luoghi della cultura erano i cinema, dove dominavano Alvaro Vitali ed Edwige Fenech, e per andare a teatro bisognava spostarsi. Sia chiaro, il direttore lo faccio gratuitamente perché considero ‘nostro’ questo teatro. La mia presenza è sporadica, non mi sono mai impossessato del luogo, non è una emanazione di me stesso. Ogni volta che vado a teatro da spettatore mi sento parte della comunità. Poi apprezzo la sala piena e mi piace se qualcuno apre dibattiti sulle mie scelte, spesso legate al supporto di tanti amici del mio mondo”.