di Raffaele Vitali
PESARO – L’ultimo caffè da presidente sotto il cielo azzurro, a due passi dalla palla di Pomodoro, simbolo della sua Pesaro, nella regione della complessità come paradigma. Luca Ceriscioli è sereno, E non certo perché, dopo cinque anni, sta per finire il suo mandato alla guida delle Marche: “Mi ha chiamato l’Arpam, l’aria di Ancona non è nociva, le scuole possono già riaprire”, riferisce con sollievo. Dopo il fallimento di Banca Marche, il caos attorno all’aeroporto, il sisma, le alluvioni e il Covid, ci mancava solo l’esplosione nel porto, struttura su cui la Regione sta investendo parte del suo futuro.
Presidente Ceriscioli, lo sente il vento di destra che soffia sulle Marche?
“Il sondaggio migliore ci dà a 3.9 punti di distanza. La verità è che siamo in una costante riduzione dai 12 inziali. Ero convinto da sempre che settembre fosse il mese decisivo. Agosto ha misurato il sentire nazionale, non le Marche”.
Pesaro sarà la città decisiva?
“Tutta la settimana lo è. A Pesaro andremo bene, ma non basterà. Ogni territorio vale”.
Parliamo di Maurizio Mangialardi?
“Il suo punto di forza è puntare sulla concretezza e saper cogliere quanto lasciato. Un esempio è il piano per la sanità da inserire nel Recovery Fund. E poi quello sulle infrastrutture e quello sui dissesti idrogeologici. Il piano c’è, ma poi nelle risorse bisogna crederci. E Mangialardi in questo è una garanzia, altro che Acquaroli e la destra che l’Europa neppure la nominano”.
È fiducioso per il futuro, le infrastrutture si faranno?
“Intanto sappiamo che ci sono 190 milioni pronti per l’arretramento della ferrovia su Pesaro, poi 187 milioni per il porto di Ancona, con la ministra che dopo quanto successo aumenterà il finanziamento. E il fatto che si vogliano commissariare un po’ di opere, inclusa la Orte-Falconara, significa che il ‘modello Genova’ diventerà realtà anche qui. Nei prossimi cinque anni le Marche giocano la partita delle infrastrutture. E sia chiaro che parliamo di imprese e servizi, non solo di strade e binari. Tra i due candidati, Mangialardi è decisamente superiore rispetto ad Acquaroli, sapendo anche che ha un piano già pronto e può partire. Questo treno passa una volta sola”.
In campagna elettorale lei non è stato il front man. Le ha fatto male la decisione di Mangialardi di correre da solo?
“Una scelta. Mangialardi ha scelto di fare la campagna elettorale molto personale, del resto non ha bisogno delle badanti come Acquaroli con Meloni e Salvini. Ed è giusto, perché il presidente sarà lui. L’ho trovato un modo corretto di proporsi ai marchigiani. Ci ha messo la faccia anche se poteva avere un vantaggio nel girare con me”.
Un vantaggio forse lo crede solo lei.
“Per me la sua è una scelta strategica, non valoriale di distacco da me”.
Anche perché Mangialardi non è un nome di rottura dalla sua gestione, giusto?
“Ha recepito il piano infrastrutture, quindi agirà in continuità. Ma esprime invece una visione diversa sulla sanità e sul territorio. Ed è una novità perché io avrei dovuto proseguire in modo coerente”.
Piano sanitario, quanto pesa sulle elezioni la sua gestione?
“Le mie sono state scelte di carattere strategico che non si esauriscono in cinque anni. Fare scelte di direzione e non di quieto vivere richiede un respiro più lungo. Solo che in Italia tutto ha tempi più lunghi del previsto. Non tutto è facile da spiegare, le persone non colgono il senso di pubblico e privato, soprattutto di cosa significhi privato convenzionato, ovvero un servizio che non costa di più. Si parla di cambiare il Balduzzi, quando accadrà bene, ma intanto bisogna usare al meglio le norme che ci sono”.
Ma cosa non ha funzionato a livello territoriale visto che tutti i candidati parlano di modificare la gestione sanitaria?
“Parlano di territorio e poi parlano di ospedali, non sanno neanche di cosa discutono. Non tutto funziona al meglio. Prendiamo le case della salute, sono come il vestito di Arlecchino, hai strutture modello, come Loreto, e altre che zoppicano. Però, lo ribadisco, è il tempo che consolida i servizi. Una cosa che potremmo modificare è la riforma sui punti di primo intervento, questo avrebbe avuto un minor impatto nelle comunità che si sono sentite svuotate. Ma bisogna agire sui parametri nazionali”.
Mangialardi su questo cosa cambierà?
“Con più forza, e la presenza di Bonaccini lo aiuta, vuole spingere Roma a modificare il Balduzzi. Però fino a quando c’è, devi rispettare le norme e quindi fare quello che ho fatto io”.
Si parla tanto della spaccatura tra lei e Ricci, si ripercuote anche nelle scelte dei candidati?
“C’è la caccia al voto e alla preferenza. Quello che ho ribadito a tutti è che bisogna prima lavorare per il voto, poi per il proprio nome. La gente deve andare a votare, innanzitutto, poi la preferenza, sperando di intercettare anche molte di quelle dei 5 Stelle. Non esiste il candidato mio o dell’altro, un esempio a Fermo dove io mi muovo sia con Cesetti sia con Giacinti (consiglieri uscenti, ndr). A riprova che il mio impegno è per il voto. Quindi non dico di no a nessuno. Se dovessi ragionare sul dopo, prendo e appoggio il più forte e invece lavoro anche per i nuovi, come Ridolfi a Pesaro, che ritengo sia un valore aggiunto per tutti”.
Ha accettato senza fare rumore la non ricandidatura. È stato un errore?
“La scelta è stata fatta a fronte a una situazione di grave spaccatura dentro il Pd. Non si poteva così affrontare una elezione importante in quel clima. Non ho mai messo le ambizioni personali davanti a un obiettivo più generale. L’ho proposto io Maurizio Mangialardi. Poi il Covid ha cambiato la percezione e spero che questo flusso si incanali a favore del centrosinistra. Non si affronta l’emergenza Covid con la sanità allo sfascio, quindi chi critica dovrebbe prima pensare. Sulla sanità abbiamo investito tanto, penso ai 200milioni che hanno permesso anche di dotare Ascoli e Pesaro di macchinari poi risultati fondamentali per i tamponi”.
Presidente, la sento combattivo.
“Per me la vittoria è davvero importante. Vinto o perso martedì entro a scuola al Bramante, mi aspettano tre prime, una terza e una quinta. Son convinto che si vincerà, il voto per Mangialardi è anche il premio a cinque anni di mio impegno”.
Cinque anni sfortunati, non le resta un po’ di amarezza per il fatto che il buono non emerge?
“Sono un uomo di contenuti. So ogni cosa che ho fatto: dal personale ai tetti di spesa. Abbiamo imparato a rendicontare, oltre che a gestire. Il punto non è che non si è fatto, ma che si fatica a entrare nel merito. Quello che ci cambia la vita sono i contenuti. Se nel 2019 eravamo secondi in Italia, solo l’Emilia Romagna ha fatto meglio, per la spesa dei per fondi Ue, non è cosa indifferente. E ancora raccontano che non li spediamo. Ma c’è il rapporto di fine anno che la commissione europea stila. Questo è un esempio come tanti per dire che in troppi parlano senza sapere”.
L’incompiuta?
“Il punto più dolente resta il post sisma, non essere riuscito a convincere il Governo a cambiare impostazione. Con Renzi non si è fatto in tempo ad agire, poi Gentiloni, Lega-5Stelle e Conte 2: siamo arrivati sempre più vicini a spiegare le cose al Governo, ma poi tutto si blocca. È rimasta l’idea che se fai una semplificazione dentro si infila il male. Purtroppo poteva essere tutta un’altra storia”.
Non avere alzato la voce come durante il periodo Covid resta un suo rimpianto personale?
“Ho esercitato il mio ruolo, quando ho avuto la possibilità ho fatto di testa mia”.
Come verrà ricordato da presidente?
“Non riusciranno a collocarmi. Un po’ uno e un po’ trino. Quello raccontato in campagna elettorale, quello del lockdown, compresa la piattaforma 210 che ci ha reso unici a livello nazionale, ma i contenuti non piacciono, quello che in maniera pesante andava a riformare la regione su scelte anche di rigore”.
Si prenderà il PD?
“Andando bene le elezioni ci sarà un periodo di pace, se no vedremo. Ma siccome vinciamo…”.
Ceriscioli, ma secondo lei perché Matteo Ricci, sindaco di Pesaro ed esponente nazionale del Pd, ha guidato la fronda contro di lei?
“Non si può dire il venerdì prima del voto. Ognuno ha portato avanti le sue idee. Riparliamone martedì, oggi dobbiamo stare al fianco di Maurizio, tutti, perché è il miglior candidato per le Marche”.
Referendum, sì o no?
“Ero d’accordo con la riforma Renzi, con il monocameralismo. Ma ridurre i parlamentari mantenendo la stessa struttura non ha senso. Quindi a lungo ho valutato il sì, ma la riduzione senza prospettiva potrebbe solo peggiorare la partecipazione dei territori. Conteremmo ancora meno in uno spezzatino di due camere. Quindi, da indeciso passo al No. Poi vincerà il sì per demagogia, ma l’effetto non ci sarà perché non miglioreremo la funzionalità”.
Presidente, non sarà una palla di vetro, ma guardando la palla di Pomodoro, da matematico, secondo lei come finirà lunedì sera?
“43 per cento Mangialardi, 42 Acquaroli. Sono convinto che sul filo di lana ce la faremo”.