di Raffaele Vitali
FERMO – Il teatro è vuoto, le porte si apriranno dopo un paio d’ore, ma Carlotta Vagnoli, la scrittrice transfeminista che piace ai giovani e fa riflettere gli adulti sul tema del gender gap, della violenza di genere e tanto altro, sale sul palco. Si ferma ad ammirare la bellezza del teatro Alaleona di Montegiorgio, un gioiello che l’amministrazione Ortenzi ha reso con le nuove luci ancora più affascinante.
Ma sola resta pochi minuti perché, dopo essersi concessa a una intervista, è circondata dai ragazzi di Eccoppiazza, ovvero il futuro del paese che con coraggio hanno rigenerato un circolo in piazza, perché loro ci credono che il futuro li vedrà protagonisti senza dover andare lontano. “Da Carlotta vorreemmo consigli anche per organizzare momenti di riflessione, sapendo di avere il supporto e la visione del Comune e dell’assessora Vita in particolare” raccontano.
Carlotta Vagnoli, cosa significa gender gap?
“Intendiamo una differenza sostanziale, il gap è lo scalino. Quello che vediamo tra la metro e la banchina a Londra. E noi lo troviamo sempre dentro la società, non solo per gli stipendi ma nella possibilità di accesso al lavoro tra uomini e donne. Presupposti culturali e strutturali, con l’assenza di politiche di welfare che poi noi donne subiamo”.
Come si supera? Leggi, cultura, iniziative?
“Primo grande ostacolo sono i contratti part time, quel tempo determinato che diventa un part time involontario. Bisogna riequilibrare i congedi, dando giorni e settimane di assenza all'uomo per poter vivere la genitorialità tanto quanto la madre. Responsabilizzare l’uomo e rendergli possibile fare il padre è fondamentale. Poi bisogna cambiare il sistema dei colloqui, il curriculum dovrebbe contare davvero e smetterla con le domande di parte. Tra l’altro, a parità d’esperienza dare posto a un uomo è normale. Infine politiche di welfare, nido, gratuità reali. In sintesi, il lavoro deve essere una certezza, non una alternativa al resto della vita”.
I giovani ne hanno consapevolezza del gender gap?
“Devo dire che se ne parla e quindi è un messaggio che gli arriva. Ma da un lato hanno meno consapevolezza perché a loro il mondo del lavoro è ancora più sbarrato. Per fortuna di base sono termini di cui si parla nelle scuole, durante le autogestioni soprattutto, per cui si scende anche in strada”.
Lei usa i social, mezzo molto discusso. Perché ha scelto questa strada?
“Sono una millennial, non una nativa digitale. Rimpiango sempre MySpace, posto bellissimo. Li considero una estensione delle nostre braccia, li abbiamo visti nascere, crescere e correre. Non mi sembra strano portare poi tutta una parte di discussione politica lì. Le generazioni future lo stanno facendo. E la politica li usa, anche male come magari fa la Lega. Sui social il messaggio arriva facilmente, non ci sono limiti, quelli che magari i grandi editori dei giornali ti mettono, per non dire ti manipolano”.
Se fosse lei la premier, da dove partirebbe per superare il gender gap?
“Partirei in modo ambivalente. Uno culturale e uno strutturale. Quello culturale è iniziare a smantellare gli stereotipi: la donna angelo del focolare è una deriva che va fermata fin dalle primarie. Serve un piano formativo concreto anche per il contrasto alla violenza maschile contro le donne. Dall’altro lato un impegno strutturale di welfare. Di bonus ce ne facciamo poco. E darlo dopo solo il secondo figlio ricorda la medaglia fascista”.
Cosa pensa delle giornate come l’8 marzo, necessarie o da superare?
“Stiamo recuperando il valore vero delle giornate. Il 25 novembre soprattutto prende sempre più peso. Sono ancora necessarie? Il grande dilemma del femminismo. Pensiamo che il transfemminismo non debba più servire e che scompaia, si spera non servano ricorrenze. Invece, sono necessarie e stanno riprendendo il loro ruolo di lotta, anche con scioperi come quelli organizzati da ‘No una di meno’. Diamo un valore radicale alla giornata”.
Vagnoli, ultima domanda. Violenza di genere, tante leggi ma restano omicidi e vessazioni. Cosa stiamo sbagliando?
“La legge da sola non cambia le teste, non c’è un deterrente efficace. Se il problem è cultuale la risposta deve essere cultutale. Codice rosso dà una mano, ma a violenza avvenuta. Dobbiamo arrivare a non avere i casi. Tra l’altro c’è grande difficoltà di attuazione dei codici penali, tempi troppo lunghi. Dobbiamo formare la popolazione e sempre più il personale. Fino a che non avverrà, temo, potremo creare nuovi comma ma i numeri resteranno drammaticamente invariati”.
E' il momento di andare, il camerino la attende, come Giobbe Covatta, sua spalla nello spettacolo del Rivela Festival portato in scena da Eclissi Eventi.
@raffaelevitali