Prima il voto, poi la preferenza. Lo dicono in pochi, ma è così. L’aspetto determinante è partecipare per incidere. Poi, scegliere la persona, sapendo che, mai come questa volta, non sono tutti uguali.
Forse i programmi si assomigliano, come accade a livello comunale, di certo non cambiano di tanto le priorità per la Regione. Ma attenzione. Le Marche sono a una svolta e chi le guiderà non è un dettaglio.
L’Europa, bistrattata nonostante ci garantisca da decenni la pace, come ricorda sempre l’ex rettore Sauro Longhi, ha aperto i cordoni della borsa. Lo ha fatto con risorse vere, che avranno bisogno di programmi efficaci e capacità di spesa oltre che di rendicontazione.
A chi mettere in mano il futuro della Regione? Al nuovo inesperto o all’esperto criticato? Bel dilemma in cui incide il fattore tempo, visto che se ne potrà perdere poco.
E così nei Comuni, piccoli e grandi, che in questo piano di investimenti avranno voce in capitolo, se sapranno creare un legame forte con Ancona, prima, e Roma, poi. Ed ecco che il ‘tanto non cambia niente’ subisce un’altra picconata. Infatti, non tutte le persone sono uguali per competenze e background.
Fermarsi al simbolo di partito nella Marche è un errore, non saranno Salvini, Meloni e Bonaccini a guidare la regione, ma uno tra Francesco Acquaroli e Maurizio Mangialardi, con tutto il rispetto per gli altri sei candidati.
Per cui, scegliere sì, ma scegliere made in Marche, sapendo che la manifattura è in crisi, ma ancora di qualità e con possibilità di essere innovata.