Il cieco risanato che vede con gli occhi del corpo e quelli dell’anima. È una delle frasi che Papa Francesco ha utilizzato durante il suo angelus domenicale.
La prendo in prestito, perché fa pensare ai tanti ‘vedenti’ di queste giornate. Quelli del dito puntato verso l’altro, quelli che usano gli occhi e poco l’anima. Il Coronavirus è infido, non è solo un nemico sconosciuto, è capace di cambiarci nel profondo. Per riuscirci sta utilizzando ogni mezzo. Prima ci chiude in casa, poi ci toglie i nostri cari, poi ci priva dell’aria aperta, infine ci rende controllori dell’altro, prima ancora che di noi stessi.
Ci sta togliendo tutto, camuffando dietro il rispetto delle regole la smania del singolo di primeggiare sull’altro. Il senso di unità è durato poco. Perché subito è tornato protagonista l’ego di ognuno, anche di chi normalmente non si occupa di cose altrui, ma che improvvisamente pensa di poter sapere dove sta andando quello che cammina sotto casa.
Ci sta togliendo tutto il virus, anche il poter dire addio a chi muore. E ci sta lasciando l’insicurezza quotidiana, il dubbio che il virus possa arrivare anche da chi meno ti aspetti. E si vive così con igienizzanti in mano, con quelle buste della spesa che entrano in cucina e che non sappiamo se pulire, appoggiare o svuotare buttandole subito.
Siamo senza certezze e contiamo le ore, leggiamo i calendari e vediamo passare giorni. Che poi sono molti meno di quanto crediamo. Ma sette giorni erano facili, quindici sono complicati, 30 sono qualcosa di neppure pronunciabile. Non siamo pronti a farci togliere tutto. Eppure accade, perché non abbiamo potere.
“Tutti noi abbiamo una riserva insospettata di forza dentro che emerge quando la vita ci mette alla prova” insegna Isabel Allende. Ricordiamocelo, non è forza ricaricare le pile sulle debolezze degli altri.