PORTO SAN GIORGIO - Andare in Africa, in un’area non turistica, non per un safari o per motivazioni di carattere solidale, né per affari ma, semplicemente, per una classica operazione culturale: la presentazione di un libro.
Di solito, i contesti in cui si presenta un libro, sono fiere di settore, biblioteche, iniziative di circoli di lettura, librerie, luoghi in cui si possono trovare lettori con capacità di acquisto. Ebbene, in Gambia, dove la percentuale di chi sa leggere è decisamente bassa, e dove lo stipendio medio annuo lo è altrettanto al punto che un libro equivale ad un bene di lusso, questa scelta ha un sapore rivoluzionario.
«Una scelta che parte da lontano, da quando, nel febbraio 2021, la casa editrice Zefiro ha fatto incontrare Musa Darboe e Francesco Moglianesi, gli autori, grazie a Marco Marchetti, responsabile della Fattoria Sociale Montepacini di Fermo, nelle Marche, la struttura che ha accolto Musa dopo la fuga dal Gambia del dittatore Jammeh». A parlare è Carlo Pagliacci, editore e giornalista. «Musa ha vissuto in Italia per diversi anni: ha potuto proseguire gli studi, trovare un lavoro, coltivare la sua grande passione per il calcio giocando in una squadra composta per lo più da altri da ragazzi immigrati, è stato accolto in una famiglia, ha fatto volontariato… Insomma, è l’esempio migliore di come le cose possano funzionare anche per un ragazzo che, purtroppo, ha visto tanti suoi coetanei non farcela ad attraversare il deserto e poi il Mediterraneo. Oggi la sua storia è diventata un romanzo, grazie alla straordinaria sensibilità di Francesco Moglianesi, che ha saputo trovare le parole giuste per raccontare questo viaggio della speranza».
L’altro protagonista del progetto editoriale è, appunto, Moglianesi: «Ho intervistato Musa in videochiamata per diverse settimane mentre lui si trovava in Svezia. Mi ha guidato attraverso i ricordi della propria vita e io ho cercato di appuntare dettagli, situazioni ed emozioni che meritassero di essere esplorati nella forma di un romanzo. Tra noi è nata una profonda amicizia. Insieme abbiamo trasformato una storia personale in una narrazione universale in grado di avvicinare persone, culture e mondi lontani. Celebrando l’empatia, il nostro libro afferma che qui, sul nostro pianeta sospeso in una delle tante periferie dell’universo, nessuno è straniero».
“La prima goccia”, di recente tradotto in lingua inglese con il titolo “The first drop”, è un romanzo che racconta il desiderio di futuro che anima tanti giovani africani, dando spazio al sorriso e alla gioia piuttosto che al dolore e alla disperazione.
«È un viaggio inverso quello che compiremo», sottolinea Marchetti, da diversi anni attivo sul fronte dell’accoglienza e dell’inclusione. «Sinceramente non avrei mai pensato di riaccompagnare uno dei miei ragazzi a casa dai propri genitori con un libro in mano che ne racconta la storia. Credo sia un atto in qualche modo rivoluzionario perché restituisce al libro un valore simbolico straordinario, la testimonianza reale di cosa significhi libertà di costruirsi il proprio futuro».
L’ultimo componente di questa missione speciale è Elisabetta Baldassarri, ex assessore alla cultura ed oggi consigliere comunale del Comune di Porto San Giorgio, anch’ella tra i soci di Montepacini e componente del direttivo della squadra di calcio in cui Musa ha militato: «Ho conosciuto Musa nel centro di accoglienza in cui era ospite, durante il corso di italiano che frequentava. La sua intelligenza e curiosità spiccavano su tutti, e questo legame è cresciuto nel tempo fino a diventare una grande amicizia. La nostra missione in terra africana è l’atto finale di una vicenda bella, di una storia corale che merita di essere conosciuta e che ora, finalmente, troverà il suo compimento».
Il libro verrà presentato il 13 gennaio nella capitale Banjul alla The Gambia Hotel School alla presenza delle autorità locali, e il 14 a Manduar, il villaggio da cui tutto è cominciato.
«Tornare in Gambia, ora finalmente retta da un governo democratico, con un libro che racconta la mia esperienza ha un sapore straordinario», sottolinea Darboe che oggi vive a Stoccolma. «Posso testimoniare che la mia decisione di partire, nonostante i sacrifici e le difficoltà, ha dato un senso alla mia vita e ha reso possibile il sogno di vedere il mondo e costruire un orizzonte di speranza. Il desiderio più grande che avevo, da bambino, era diventare avvocato, e mettermi a disposizione della mia gente per poter difendere i loro diritti. Sto lavorando per questo, e per poter dire che, anche in Africa, può esserci futuro».