di Raffaele Vitali
MILANO/PORTO SANT’ELPIDIO – Non poteva che essere ‘il filo’ di Arianna quello che unisce le griffe nella produzione di scarpe.
Il calzaturificio di Porto Sant’Elpidio è stato fondato nel 1980 da Francesco Ferroni. Che ha scelto un nome romantico, perché l’ha dedicato alla prima figlia, Arianna, oggi dipendente di banca ma anima dell’azienda insieme con il fratello Matteo e sua moglie Federica Romitelli.
Fin dall’inizio, il padre ha preso una strada, produrre per grandi marchi scarpe da donna. “Per anni – racconta Arianna che al Micam ha presentato la collezione di uno dei brand per cui lavora - abbiamo lavorato per marchi francesi, solo per poco tempo abbiamo messo sul mercato il nostro nome. Poi la scelta di strutturarci in modo differente, avevamo capito che produrre e vendere per noi era una strada complicata”.
Avanti per anni, fio all’investimento: “Un anno fa, la decisione di comprare un nuovo capannone, sempre nella zona industriale sud di Porto Sant’Elpidio e organizzare al meglio il nostro lavoro”.
Arianna è diventato così un calzaturificio ‘service’. “Ovvero, siamo al servizio dei brand, dal gruppo Lvmh agli emergenti”. Il sistema è semplice quanto complesso: “Il cliente arriva con il disegno dello stilista, noi realizziamo la prototipia e progettiamo ogni passaggio, dalle forme ai tacchi, fino all’industrializzazione. Entra un disegno, esce la produzione di scarpe richiesta”.
Così facendo si sono affermati per qualità, tempistica e serietà: “Oggi lavoriamo per trenta brand”. Sembra incredibile, di solito gestirne uno o due già complica la vita dei calzaturieri del miglior distretto d’Italia, ma non il modo di Matteo e Arianna Ferroni che solo per rispondere a mail e telefonate dei brand ha tre dipendenti.
“Il nuovo capannone è servito proprio a fare il salto di qualità, lo abbiamo realizzato con dodici uffici all’interno in modo da garantire a ogni cliente la sua riservatezza, che è fondamentale soprattutto nella prima fase creativa, quella in cui ci confrontiamo sul bozzetto” aggiunge Matteo, che dei due è l’operativo, quello cresciuto con dieci anni in manovia, poi due scuole da modellista “e una formazione che non si ferma mai, stimolata proprio da questa nostra scelta di lavorare con grandi gruppi”.
Trenta dipendenti, famiglia inclusa, per garantire service e produzione. “Dovendoci relazionare con uffici stile così diversi, la crescita e la formazione interna diventano basilari. E così raggiungiamo livelli di lavorazione sempre più raffinati”.
Chiaramente il 2024 è un anno complesso anche per loro: “I grandi gruppi faticano, questo è evidente a tutti. Ma noi compensiamo con quei marchi giovani che hanno un loro posto e continuano a crescere. E più lavori e meglio fai e più ti cercano. Se penso che siamo partiti tanti anni fa con Msgm e oggi siamo a trenta” riprende orgogliosa Arianna, che con il fratello deve anche seguire al meglio la voglia di lavorare dei genitori settantenni che in manovia ancora vogliono essere decisivi.
Non è un modello di business semplice, perché lo sviluppo della scarpa è tutto a carico dell’Arianna Calzaturificio, ma il risultato finale per ora dice che il sistema funziona e la nuova fabbrica potrà solo agevolarlo. “Il 2023 è stato un anno record con la produzione di 80mila paia, ma c’è stato un cliente che da solo ne ha fatte quasi la metà. Noi siamo pronti, abbiamo un’azienda giovane, l’età media è trent’anni anche l’orlatrice è interna. Non è stato semplice, abbiamo trovato una ragazza interessata, l’abbiamo affiancata alla nostra più esperta. E questo significa investire, perché paghi sia l’una che l’altra mentre si formano, ma ne è valsa la pena”.
Trenta è il numero di clienti seguiti, ma non si ferma perché con il suo filo Arianna tesse relazioni: “Abbiamo invitato diversi brand anche al Micam, sono tanti i ‘medi’ che hanno bisogno di un buon made in Italy”. Per il 2025 hanno un obiettivo ambizioso, raggiungere i 5 milioni di fatturato contro i tre attuali.
“I nostri dipendenti sanno cosa vogliamo, ma sanno anche che abbiamo un sistema di premi di produzione che li valorizza. Anche questo piace ai giovani, si sentono stimolati perché i parametri sono diversi. Noi siamo cresciuti con un padre che ci ha permesso di ‘sbagliare’. Per cui sappiamo cosa significhi entrare in una azienda e crescere, questo modello lo abbiamo fatto nostro e i nostri collaboratori lo hanno capito” concludono Matteo, Arianna e Federica.