*Come dire “Buona Pasqua” nei tempi attuali, segnati dalla pandemia prima e della guerra adesso? Se augurare buona Pasqua, buona risurrezione, fosse solo un’iniezione di ottimismo di circostanza, di questi tempi potrebbe anche risultare irritante. Siamo così sicuri che “andrà tutto bene”, come due anni fa scrivevamo sugli striscioni?
La risurrezione di Cristo non è un pannicello caldo alle difficoltà della vita o un rivestimento positivo dell’esperienza umana; per comprendere il vero senso della più importante festa cristiana, dobbiamo andare oltre le semplificazioni di comodo. Cristo risorto ci spinge ad elevare lo sguardo e a credere che la morte, che pure incombe, non avrà l’ultima parola ma che siamo fatti per l’eternità.
Questa certezza della fede può dare un senso alla nostra quotidianità, segnata dalla contraddizione, dal dolore, dal peccato? Non è un esercizio spirituale semplice da vivere ma il vangelo di domenica prossima ci dà un indizio: l’amore vince la morte. Per il suo amore portato alle estreme conseguenze, Cristo è stato risuscitato.
Giovanni, la Maddalena, credettero alla risurrezione perché amavano il Signore; questo fatto cambiò la loro esistenza non perché la rese più facile ma perché scoprirono la compagnia di Cristo e la bellezza di vivere nell’amore che Egli aveva testimoniato.
Le prime comunità, perlopiù povere e senza sicurezze umane, si generarono proprio perché affascinate e convertite da questa verità: l’amore di Cristo vivente, ti fa rinascere, ti fa risorgere, supera la barriera della morte.
Entriamo anche noi in questa dimensione di fede autentica e allora avrà senso augurarsi, come io faccio ora a tutti voi: Cristo è risorto! È veramente risorto.
*Rocco Pennacchio, arcivescovo di Fermo