di Raffaele Vitali
FERMO – Le province del sud hanno stipendi decisamente più bassi delle ‘sorelle’ del nord della regione Marche. A dirlo sono i dati della Cgil, che ha rielaborato quelli dell’Inps
“Nelle Marche oltre il 65% dei giovani senza futuro, con contratti precari e uno stipendio annuale lordo di circa 11mila euro lordi. Non va meglio per le donne con uno stipendio, in media, è di 7mila euro in meno rispetto a quello degli uomini. I salari medi, nel complesso, viaggiano sui 19mila euro, in leggero aumento” spiega la segretaria regionale.
Il problema è che Ascoli e Fermo, i dati sono aggregati, stanno messe peggio a livello di salario: le retribuzioni medie lorde sono di 17.615 euro, in aumento rispetto al 2020, ma sempre lontane dal resto della regione (19.434).
Nelle due province lavorano poco meno di 100mila persone nel privato, con un aumento di 3mila posti. Il problema è che 34mila, ovvero uno su tre hanno un contratto part time, mentre altri 24mila con contratto a tempo determinato. I tempi indeterminati sono diminuiti rispetto al 2011 del 3% e rappresentano il 50% del totale.
Fermo e Ascoli sono due province a matrice maschile, le donne rappresentano infatti il 45% della forza lavoro: poco più di una su tre ha un lavoro a tempo pieno e indeterminato (35,2%, a fronte di una percentuale del 62,2% per gli uomini).
Luci e mombre sui vari settori: il settore moda è l’unico che, nella ripresa generale del 2021, ha avuto una tendenza negativa, registrando una perdita della forza lavoro dell’1,6% rispetto al 2020. L’edilizia è il settore che ha rilevato l’aumento più significativo dei lavoratori: +17,9% dal 2020 e +22,8. Lo scenario cambia nel confronto di lungo periodo, ovvero con il 2011: l’industria manifatturiera perde il 7,7% dei lavoratori e delle lavoratrici mentre il terziario registra un aumento del 15,3%.
La contrazione maggiore si osserva nel calzaturiero, che rileva un calo di 15 mila unità (-33%); dall’altra parte, crescono in misura rilevante i lavoratori dipendenti impiegati nell’istruzione (+58,2%), nell’assistenza sociale e sanitaria (+46%) e nell’attività informatica, ricerca, studi professionali (+34,4%).
Sono significative le differenze retributive tra uomini e donne: “Le retribuzioni medie lorde annue dei lavoratori ammontano a 20.436 euro, a fronte dei 14.202 euro delle lavoratrici: quest’ultime, dunque percepiscono mediamente 6.234 euro meno dei loro colleghi maschi, ben il 30,5% in meno. L’incidenza di contratti precari o a tempo parziale giustifica solo in parte il divario retributivo tra uomini e donne, visto che le lavoratrici con contratto a tempo pieno e indeterminato percepiscono 3.864 euro lordi annui in meno dei loro colleghi maschi (-14,4%)” sottolinea Alessandro De Grazia, segretario della Cgil di Fermo.
Che poi ‘regala’ la prima ricetta: “Per innalzare i salari, oltre alla leva fiscale e quella del rinnovo dei contratti nazionali, bisogna rilanciale la contrattazione di secondo livello che, nella nostra provincia, si pratica solo in 5 aziende”.
Serve però un salto culturale: “Si continua con la logica dei premi ad personam (a chi decido io) invece di costruire insieme al sindacato un progetto che individui degli obiettivi condivisi che al raggiungimento degli stessi introduca un sistema premiale per tutte le lavoratrici e i lavoratori, che tenga conto delle questioni di genere e che - prosegue il segretario Cgil - favorisca tempi di vita e lavoro in particolare per le donne, troppo spesso costrette al part time se non peggio a doversi dimettere”.
Sempre poi con un occhio ai giovani su cui incide il precariato. I dati della Cgil sono impietosi: ad avere un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato è la metà dei lavoratori, ma il dato si abbassa al 32,2% negli under 30. Il 38,2% di questi, inoltre, ha un contratto di lavoro a tempo determinato, contro il 24% dei lavoratori nella loro totalità.
Tutto ciò ha dei riflessi in termini retributivi, in quanto i lavoratori delle due province con meno di 30 anni percepiscono una retribuzione lorda media annua di 10.226 euro, oltre 7 mila euro in meno rispetto all’importo medio dei lavoratori dipendenti privati nel complesso.
“Basta con tutti questi contratti precari, serve occupazione stabile, di qualità: serve un grande progetto di formazione continua che consenta a tutti la crescita professionale. Soluzioni che fanno bene ai lavoratori, ma anche a chi fa impresa. Magari questo potrebbe rappresenterebbe una vera svolta per chi continua solo a lamentarsi che non trova manodopera senza mai entrare nel merito delle questioni, limitandosi a dire che il problema è il reddito di cittadinanza o che i giovani non hanno voglia di lavorare. Lavoro stabile, di qualità, ben retribuito e che valorizzi le persone” conclude De Grazia.
@raffaelevitali