di Francesca Pasquali
ALTIDONA/MIRANDOLA - A soli 28 anni, l’altidonese Valentina Menozzi è un astro nascente della biomedicina. Il quotidiano Repubblica l’ha inserita nel gruppo di candidate, assieme alla collega fermana Alice Michelangeli, a Donna dell’anno (c’è tempo fino alla mezzanotte di oggi per votare su ladonnad.repubblica.it). A inizio mese, le due sono arrivate in finale all’European Prize per Women Innovators. "Prometheus", il sistema che hanno brevettato con il tarantino Riccardo Della Ragione, potrebbe rivoluzionare la medicina rigenerativa.
Menozzi, di che si tratta?
«Di una start up innovativa per la cura di ferite di difficile rimarginazione. Il cerotto combina un derivato del sangue del paziente con biomateriali e può essere applicato direttamente sulla lesione o suturato con i lembi della ferita ed è completamente bioriassorbibile».
Com’è nata l’idea?
«È un progetto a sei mani, partito tre anni fa, ma a cui lavoravamo dal 2015. L’idea è di Riccardo che, appassionato di stampa 3D, ha voluto combinarla con la parte biologica e biotecnologica. Io mi sono occupata più della prima, Alice della seconda. Abbiamo studiato insieme Biotecnologie a Fano. Poi, ci siamo ritrovati a Parma, Ora siamo a Mirandola, sede del Distretto biomedicale».
Dalla stampante 3D al cerotto “guarisci-ferite”. Come ci si arriva?
«Con la stampante realizziamo i biomateriali che vengono combinati con il derivato ematico. La forma viene mantenuta grazie al biomateriale che permette di dare anche al derivato ematico una consistenza tale da poter essere applicato senza perdita di materiale biologico».
Poi che succede?
«Il derivato ematico è ricco di fattori di crescita, molecole attive estratte dal sangue del paziente con una macchina automatizzata che abbiamo sviluppato. Questi fattori di crescita vanno ad agire sul tessuto leso, stimolando la rigenerazione delle cellule. Mentre i biomateriali permettono di regolare, nel tempo, il rilascio dei fattori di crescita sulla ferita, per avere un effetto più efficace e duraturo, e fungono da supporto per la crescita della nuova cute. Essendo tutto autologo, non si ha rigetto».
Funziona?
«È già stato validato sugli animali, principalmente cani, cavalli e gatti. Abbiamo dati di sicurezza ed efficacia del prodotto. In tutti i casi clinici si è arrivati alla completa chiusura della lesione, con tempi estremamente ridotti, e a una qualità della rigenerazione elevata, senza formazione di cicatrici e con la ricrescita del pelo identico a com’era in origine. Un valore non solo estetico, ma anche funzionale, perché significa che la cute ha rigenerato tutti i suoi strati e le sue funzionalità».
A che punto è la start up?
«Da febbraio, siamo sul mercato veterinario con i cerotti e altri due prodotti che si basano sullo stesso principio: uno per il trattamento di patologie osteo-articolari e l’altro per quello delle patologie oculari».
Quando il passaggio all’uomo?
«Siamo in fase di raccolta fondi per finanziare il progetto regolatorio che ci porterà ad applicare il prodotto sull’uomo. Essendo un dispositivo medico di Classe 3, dobbiamo effettuare una fase pre-clinica e un trial clinico sull’uomo per ottenere la certificazione e, poi, la commercializzazione. Stiamo cercando un primo finanziamento di due milioni».
Porte aperte agli investitori?
«Da quelli piccoli, interessati a coinvestire insieme ad altri nel progetto, a quelli di categoria, che volessero investire cifre più grandi con un numero minore di coinvestitori».
Come sarà commercializzato?
«Metteremo la macchina automatizzata a disposizione di ospedali pubblici e cliniche private. Il paziente si recherà in struttura, dove gli verranno prelevati 60 ml di sangue. Il cerotto verrà preparato in ambulatorio. Per adesso, misura sette centimetri per otto. In futuro, potrà essere realizzato in base alla tipologia di ferita».
Quali usi prevedete?
«Dall’estetica alle ferite chirurgiche alle ulcere croniche. In questa fase ci concentreremo soprattutto su piaghe da decubito e ulcere venose».