Il collettivo “molto più di 194 - Fermo” prende spunta dalla rubrica ‘Dalla parte giusta’ tenuta dall’avvocato Andrea Agostini e interviene in merito alla situazione dell’ospedale Murri e della provincia di Fermo dove è impossibile effettuare una interruzione di gravidanza.
Riteniamo che le cose debbano essere chiamate con il nome loro nome e, dunque, diciamolo con la massima tranquillità: esiste, eccome, il diritto della donna di interrompere la gravidanza. È scritto in una legge del 1978, la n. 194, tra l’altro passata anche al vaglio referendario e confermata dalla volontà popolare, dove il bilanciamento dei contrapposti interessi e valori ha trovato una sintesi che non si può, né si deve, negare o rimettere continuamente in discussione. Certamente l’esercizio di quel diritto passa attraverso il rispetto di alcune procedure, come accade per tutti i diritti riconosciuti: diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto di libera manifestazione del pensiero, diritto all’iniziativa economica, e via dicendo, ed è abbastanza superfluo ribadirlo.
Il punto della questione è capire se in generale, ed in particolare nel nostro territorio provinciale e regionale, tale diritto sia attuale e concreto. La risposta è no proprio per le insopportabili ed inaccettabili inadempienze e carenze che ancora oggi si registrano nelle strutture che in base alla legge dovrebbero assicurare alla donna la libertà di scegliere se portare o meno avanti una gravidanza, con un processo di autodeterminazione che la stessa deve compiere una volta avute tutte le informazioni del caso.
Ed allora quando il consultorio pubblico non informa correttamente sui diritti di cui alla L. 194 non siamo di fronte ad una semplice inadempienza ma ad una lesione grave di un diritto fondamentale che ha come effetto quello di operare una abusiva sostituzione nel potere di scelta sulla maternità, trasferendolo ad altri anziché alla donna, fenomeno che proprio la Legge 194 intende fermamente contrastare.
L’ospedale di Fermo e l’intera sua provincia ha posto in essere una “obiezione di struttura” non solo per la presenza di tutti operatori obiettori ma anche in ragione della volontà dei primari di ginecologia-ostetricia che si sono susseguiti e della governance della ASUR 4 e regionale di mantenere chiusa la struttura alle IVG poiché è indubbio che si è di fronte ad una macroscopica omissione organizzativa. La libertà di obiezione di coscienza non è in discussione ma il servizio pubblico (che corrisponde per di più ad un diritto della persona) ha l’obbligo di trovare una soluzione organizzativa e, perché no, anche trasferendo alcuni addetti obiettori per far spazio ai non obiettori, che è soluzione assai più efficace e di concreta attuazione dei diritti delle donne che non fare migrare queste ultime verso altre province.
Infine sulla RU486. Sbagliato sostenere che la somministrazione dei farmaci abortivi in consultorio, come delineato dalla circolare del Ministero della Salute dell’agosto 2020, non possa considerarsi rientrante nella L. 194 o addirittura possa considerarsi illegittima sul presupposto letterale che la legge prevede che l’interruzione della gravidanza possa essere praticata solo “da un medico del servizio ostetrico ginecologico e presso un ospedale generale” nonché “presso gli ospedali pubblici specializzati” e “case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici”.
Altre volte ed in altri settori le applicazioni normative si sono evolute all’evolversi delle scoperte scientifiche, agli usi e costumi e via dicendo, perché le norme “vivono”. Basti pensare, solo per fare un esempio, che la norma penale che punisce la diffamazione a mezzo stampa oggi si applica pacificamente agli insulti via social che, infatti, costituiscono una realtà sconosciuta ad una norma della metà del ‘900. La soluzione, dunque, è ben spiegata nella circolare ministeriale stessa dove si legge “tenuto conto della raccomandazione formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in ordine alla somministrazione di mifepristone e misoprostolo per la donna fino alla 9° settimana di gestazione, delle più aggiornate evidenze scientifiche sull’uso di tali farmaci, nonché del ricorso nella gran parte degli altri PaesiEuropei al metodo farmacologico di interruzione della gravidanza in regime di day hospital e ambulatoriale…”.
Ciò senza considerare che in tempo di pandemia il ricorso all’interruzione di gravidanza mediante somministrazione farmacologica nei consultori appare ulteriormente più aderente alla necessità di preservare la salute della donna, anche evitando l’accesso e la permanenza nell’ambito ospedaliero e ricorrendo a percorsi meno invasivi e pericolosi per l’integrità fisio-psichica della donna.