di Raffaele Vitali
Lo sport ha bisogno di storie. Quella della Vuelle Pesaro è perfetta per questo mondo ovattato, reso silente dal Coronavirus. Una piazza che ha il basket nel sangue, ma una piazza da troppi anni segnata dalla tristezza dei risultati.
Stagioni complicate, chiuse sempre all’ultima giornata, o al massimo un paio prima. Salvezze raggiunte anche per regali altrui, ma che nessuno ha mai messo in discussione. Perché Pesaro, la Vuelle, Scavolini che fu, aveva un vantaggio rispetto a molte altre città: il pubblico. Più andava male e più la gente confermava gli abbonamenti. Certo, magari poi al palazzo fischiava e contestava, ma era anche capace di fare una invasione di campo per la prima vittoria stagionale dopo dieci sconfitte.
Ogni estate, poi, la ripartenza. Con le consuete promesse di stagione serena, ma anche con la conferma che ‘si fa quel che si può con quel che abbiamo’. Perché il presidente Ario Costa, una delle bandiere della Scavolini vincente che faceva innamorare l’Italia, anche quella che la odiava grazie a giocatori italiani immensi, come Magnifico, a sua volta tornato in società, e americani più pesaresi dei pesaresi, Daye e Cook, ha sempre lavorato con poche risorse. E, soprattutto, ha rispettato, i conti, non cercando pieghe dove nascondere debiti che avrebbero pesato sulle stagioni successive.
Ma questa è storia, il presente ha qualcosa di incredibile: la Vuelle si è qualificata per le Final Eight. Poca cosa? Non per chi da nove edizioni era assente, non per chi la Coppa la sentiva il suo giardino. Non solo, ci arriva da sesta, quindi non per fortuna, ma per pieni meriti. Quelli che l’hanno vista battere dirette concorrenti e compagini più prestigiose.
Giocatori in campo finalmente dotati di tecnica, grinta e attaccamento alla maglia, vuoi per un capitano che ne sente il peso e ne conosce la storia, Carlos Delfino, vuoi per un allenatore che non sarà perfetto ma almeno sa allenare e sa farsi rispettare, Jasmin Repesa.
In questo contesto, sui social è tornato il pubblico, sempre più regionale come ai tempi d'oro vista l'assenza di rivali in A e A2. Che sembra alitare sul campo e incitare i giocatori pur da dietro uno schermo. È tornata la voglia di vincere, quella che in troppi a Pesaro avevano perso a tal punto che ci i lamenta se si perde contro Bologna, dove un solo giocatore, Belinelli, ne costa come cinque a Pesaro. Ma è il bello degli ultras, che in zona palla di Pomodoro hanno 70 come 18 anni. Lo sanno tutti, se il palazzo fosse aperto ci sarebbero 8mila spettatori ogni domenica, forse solo Bologna farebbe meglio.
Questo non è possibile, ma Pesaro non si spaventa, sa che il 2021 è l’anno della rinascita, del ritorno dove bisogna stare, in zona play off, ma sa anche che per rimanerci non va perso il filo conduttore: la difesa. quando tiene le squadre sotto gli 80 punti, Pesaro vince a meno che non trovi giornate di alto profilo balistico, come contro Brescia.
Insomma, nell’anno senza pubblico Pesaro ha visto rinforzarsi la sua anima biancorossa. Che tale è anche se racchiusa dentro il giallo ocre dello sponsor. Bisogna digerire qualcosa per tornare grandi e una stagione così non può che far crescere la voglia di basket in un super imprenditore come Beretta. Che per ora ha scelto Pesaro come veicolo del suo prosciutto a chilometro zero, arrivando da Carpegna, ma che non avrà problemi a cambiare prodotto, e quindi budget, di fronte a una squadra che vive e che piace alla tv, basta vedere quante volte la Vuelle è già stata scelta per le partite extra internet.
Pesaro è tornata. Merito di tanti, ma dei tifosi un po’ di più. Perché povera o ricca, una squadra vive del suo pubblico, al palazzo o sui social, con tanto di gadget regalati ogni settimana a chi indovina il risultato in anticipo, nel 2021 poco cambia.