di Raffaele Vitali
FERMO – Lo stato dell’acqua, “che non c’è come vorremmo”, ma anche dell’azienda che dà lavoro a mille persone. “Rispettiamo chi lavora qui dentro” tuona Giacinto Alati battendo il pugno sul tavolo. Non ha apprezzato le critiche degli ultimi mesi a causa del colore dell’acqua che ha interessato alcune zone picene e non fermane. “Difendo i dipendenti che lavorano anche di notte per alleviare una crisi idrica enorme. I problemi ci sono, ma sono dovuti alle condizioni straordinarie post sisma”.
I problemi ci sono e sono reali, un video lo certifica: le due fonti principali sono passati da 350 a 85 litri e da 576 a 120 litri al secondo. “Abbiamo un progetto politico chiaro, questo è un bene pubblico”. Ad Arquata è stata scoperta una nuova sorgente che garantisce 80 litri al secondo, ma anche qui c’è la burocrazia che potrebbe compromettere un anno di distribuzione, “siamo in attesa dell’ok del comitato di Protezione civile”.
Tutto questo comporta che nelle case arrivi più acqua di pozzo che di sorgente. Cosa comporta? “Abbiamo circa 650 litri al secondo di acqua di sorgente e un terzo di questa va verso il Fermano, il resto nel Piceno. L’ottimo sarebbe miscelare l’acqua degli impianti di soccorso, ma non è possibile. Servirebbero condotte che non ci sono. Parliamo comunque di due acque potabili, la differenza è che quella dei pozzi ha una maggior durezza, si nota sugli elettrodomestici, in particolare lavastoviglie e lavatrici per cui è bene fare i controlli previsti” spiega il dirigente Ciip Carlo Ianni.
Il presidente rivendica i milioni di euro investiti sugli impianti di soccorso: santa Caterina, fosso dei galli e Castel Trosino. E poi rilancia: “Non me ne vado, la gente lo sappia. Sto qui, i risultati lo dicono. Tutti vorremmo l’acqua dei Sibillini, ma non c’è. Eppure andiamo avanti, questa è un’azienda con grande prospettive che deve pensare a tutto il territorio grazie ai tanti professionisti che lavorano qua dentro. Prima di me qui c’era solo breccia, oggi ci sono utili”.
Il direttore Gianni Celani entra nel merito delle foci: “Rendono il 70% in meno. Questo significa che gli impianti di soccorso, che usavano un mese e mezzo all’anno, sono diventati impianti stabili. Il grande caldo ci ha portato vicino alla chiusura. L’acqua di qualità non è più come una volta. Resta potabile, ma il problema c’è. Molte località che prendono acqua dal Pescara e da Foce si troveranno con chiusure notturne o alternate. Con dei distinguo: Ascoli Piceno, per esempio, avrà sempre acqua. E così Fermo e il fermano. Mentre il rischio c’è per Grottammare, parte di San Benedetto e la vallata del Tronto.
Di fronte a questo quadro, Alati resta ottimista perché sa di poter contare su una azienda piccola e sana, molto stimata nel settore. “Cerchiamo la possibilità di crescere: noi vogliamo creare una grande azienda che dia un servizio di qualità cercando di abbattere i costi. Ma questo si fa unendo, lo abbiamo fatto con il Tennacola a cui curiamo anche la fatturazione e lo abbiamo fatto con Acquambiente. Noi facciamo squadra, andiamo oltre la diffidenza per crescere, ma in house”.
Alati ha una certezza: “La Ciip ha le professionalità per fare un grande lavoro. Abbiamo creato l’unione idrica Marche. il 20 agosto compio 70 anni, credo che questa azienda meriti uno sviluppo diverso grazie al suo potenziale che però può crescere solo legandosi al mondo che riguarda l’ambiente”.
Nel mentre, continuano gli investimenti, si cercano nuove sorgenti, ma soprattutto si manda un messaggio chiaro alle persone: “L’acqua non c’è, bisogna risparmiarne l’utilizzo. Piscine, orti, giardini, acqua potabile per irrigare: non si può più fare. Se loro usano acqua in questa maniera, qualcuno non potrà farsi la doccia. Per questo abbiamo chiesto ai sindaci per sensibilizzarli al controllo del territorio. A Salvano c’era chi giocava con l’acqua, ho chiamato Calcinaro e gli ho chiesto di controllare, lo ha fatto subito. Non va sprecata l’acqua” conclude il presidente.