*Sono passati 15 anni dal terremoto de L’Aquila. Il 6 aprile del 2009 una scossa di magnitudo 6.3 distrusse ampie parti della città abruzzese e delle frazioni limitrofe, ma soprattutto causò la morte di 309 persone - con 1600 feriti - e lasciò senza casa 65mila residenti.
Quando si fa il bilancio del sisma aquilano non si parla abbastanza spesso dello svuotamento di un intero territorio. Un territorio appenninico che, come molte altre aree simili in Italia, si sta spopolando. Solo che in questo caso non si tratta di un fenomeno né graduale né volontario: al contrario, l’abbandono è stato forzato e repentino.
Se i tempi della ricostruzione si protrarranno ancora a lungo, rischiamo di avere paesi e frazioni ricostruite e ristrutturate ma completamente vuote o abitate solamente da poche famiglie. È un tema che mi è capitato spesso di affrontare anche per il terremoto del centro Italia del 2016. E non è un caso. Al centro, infatti, c’è sempre l’ingombrante ombra di una ricostruzione lenta nei tempi e bizantina nelle procedure.
La lezione del 2009 ci ha insegnato che, per una ricostruzione efficiente, è necessario stimare il danno in modo coerente, basandosi sul nesso di causalità tra terremoto e danno, conoscere la storia del fabbricato, servono procedure burocratiche più snelle e controlli capillari e incrociati, così come una banca dati degli edifici, dei professionisti e delle imprese.
Una lezione non appresa. La strada che ha preso la ricostruzione del centro Italia post-sisma 2016 infatti non è troppo diversa: secondo un’analisi della struttura commissariale i costi per la riparazione sono di 30 miliardi di euro per 60mila interventi. A rallentare i cantieri è stato anche il Superbonus 110%, che ha dirottato molte imprese e professionisti verso lavori più remunerativi.
Avendo lavorato come Commissario alla ricostruzione del centro Italia so bene quali siano stati i nodi e le smagliature di un sistema complesso come quello di un vastissimo cratere sismico da ricostruire. Molti di questi nodi, grazie al lavoro degli ultimi anni, sono in via di risoluzione.
Rimane il tema del rischio spopolamento, che affligge L'Aquila come l'entroterra marchigiano colpito dal sisma del 2016. Per questo, non mi stancherò mai di dire che serve una diversa attenzione a queste aree, che non devono essere trattate solo come un “paziente da curare” ma come un potenziale su cui investire.
Non è compito di noi geologi prescrivere ricette di carattere socioeconomico, ci limitiamo a dire che la premessa per far tornare alla normalità un’area così sconvolta da un evento sismico è quella di ricostruire con le migliori tecniche e materiali, utilizzando tecnologie adeguate al rischio, possibilmente identificato attraverso una capillare microzonazione sismica.
Quest’ultima è stata completata, ed è un risultato di cui bisogna essere fieri: oggi sappiamo, per tutti i Comuni del cratere, come reagirà il terreno alle prossime sollecitazioni sismiche. Una conoscenza che permette di ricostruire in modo avveduto. Costruire edifici sicuri è la migliore assicurazione sul futuro.
Piero Farabollini, presidente dell'ordine dei Geologi delle Marche