FERMO – Eriberto Guidi, grazie a Comune di Fermo, regione Marche, Sistema museo, Centro studi Licini, in tutta la sua bellezza raccontata da 86 scatti dedicati principalmente al paesaggio, in bianco e nero ma anche a colori.
‘Sconfinamenti fotografici’ è il titolo. Da dove nasce lo spiegano le due curatrici. “Eriberto era un caro amico. La mostra è fatta con grande trasporto, non c’è solo un’analisi esterna, una visione dell’autore, ma il desiderio di entrare nella storia. La parte inedita che viene presentata in mostra è incredibile, per questo sconfiniamo. Andiamo oltre la foto, si arriva al colore grazie all’intervento pittorico dentro le fotografie. Un uomo che ha studiato e inventato nel campo fotografico. Ci sarà tanto colore e sarà materico” sottolinea Simona Guerra, anima della mostra insieme con Lisa Calabrese e con la professoressa Daniela Simoni.
“Un evento significativo. La cultura ha accettato il guanto di sfida del Covid. Noi abbiamo scelto di far vivere l’arte e la cultura. Dopo Dondero, ecco Guidi, seconda tappa del trittico. Lisa Calabrese e Simona Guerra hanno selezionato gli scatti dell’esposizione. Qualche anno fa ho avuto il privilegio, anzi la fortuna, di poter sbirciare il copioso archivio di casa Guidi, dove c’è anche una camera oscura. Sapere che quel patrimonio ora potrà essere condiviso mi fa davvero piacere” aggiunge Micol Lanzidei, assessore alla Cultura.
Far capire l’anima lenta di Eriberto Guidi è una delle sfide: “Lui chiudeva le serie, le faceva decantare per anni. E per questo porteremo un inedito, la città verticale ‘finita’ nel 2012, 101 foto inedite dedicate a Fermo raccolte in un unico cartellone. Con questa mostra lasciamo un testamento per chi vuole studiare, per chi vuole continuare ad approfondire. A cominciare dal colore che ha segnato il suo ultimo lavoro nel 2014 che ha incuriosito in particolare Daniela Simoni. Un fotografo che non ha avuto paura del digitale, sapendolo abbinare all’analogico” riprende Lisa Calabrese. Una mostra di scoperta, non antologica.
E sul materico entra Daniela Simoni, direttrice del centro studi Licini dove nel 2013 il fotografo tenne una personale. “Un progetto con una gestazione lunga, di cinque anni. Era il settembre 2015, l’ultima volta che ho parlato con lui e l’assessore Trasatti, discutemmo proprio sulla organizzazione. La desiderava Eriberto, perché dopo tante esposizioni all’estero sognava la sua città. Se ne è andato organizzando mentalmente l’esposizione. Il fatto che l’abbiano curata due amiche è un valore aggiunto. Tra il terremoto e il Covid, siamo finalmente al risultato”.
Per Guidi Licini era un nume tutelare, lì univa il lavorare lento, la visione onirica del paesaggio. “In mostra scoprirete un lavoro inedito dedicato proprio a Osvaldo Licini, un percorso verso l’astrazione con una ricerca dei colori molto ardita”.
Il sogno del padre, che diventa la realtà del figlio Enrico e con lui della sorella e della nipote, la vera erede artistica. È lui a entrare nell’intimo della casa del fotografo, dove squillava il telefono e alla cornetta trovavi Monicelli. ‘Quando vedevo una sua opera, riscoprivo una poesia di una Italia che stava scomparendo’ è la frase che il regista usava per definire il fotografo. “Una grande emozione. Daniela, Lisa e Simona sono le tre grandi artefici, ci hanno messo il cuore”.
Si commuovono le tre donne. “Un lavoro incredibile, tutto il patrimonio era stipato nel piccolo laboratorio. Sono state incredibili. Mio padre non amava parlare, anzi spesso si nascondeva. Il modo migliore per ricordarlo è parlare poco. Questa mostra è un’occasione di spinta, di forza: bisogna far vedere le cose belle. La bellezza batte il male”.
Un aneddoto lo identifica: “Non era facile vedere e scoprire quello che stava preparando. Qualche volta mi mostrava i lavori, ma era sempre un ‘mi raccomando non raccontare fuori di casa’. Era molto geloso. E forse anche per questo una volta che è morto ho regalato tanto suo materiale, soprattutto pubblicazioni. Ci vorrebbero tre Terminal ma intanto è un inizio. Per lui Fermo era un punto fermo, la casa dove tornare” conclude Enrico Guidi.
Dondero, la visione nazionale, Guidi, con la sua visione onirica, e poi Crocenzi, con le sue radici: “Un percorso perfetto per un trittico di alta qualità” ribadisce la Simoni commentando le mostre pianificate dall’allora assessore Trasatti.
È pronto il Terminal con undici sezioni della mostra dentro il mondo di Sistema Museo: “È una esperienza formativa organizzare mostre in questa fase. Il Terminal è un luogo perfetto per queste mostre, soprattutto quando ci sono curatrici che garantiscono un valore aggiunto. La mostra è visitabile dal 25 ottobre, dal martedì alla domenica, fino al 10 gennaio. Mascherina e igienizzanti sono i due compagni di visita. È consigliata la prenotazione, ma l’auspicio - conclude Achille Roselletti - è di favorire la partecipazione per poter ammirare le opere di un fotografo a cui Life nel 1970 dedicò un articolo”.
r.vit.