di Raffaele Vitali
FERMO – La macchina dell’emergenza è sempre pronta. Non conosce sosta. Ci sono le macro, come quella che ha colpito la Romagna e la parte nord delle Marche, ci sono quelle che non ti aspetti, fanno paura, ma per fortuna dopo poche ore rientrano, come l’ultima notte tra Amandola e Macerata, anche se restano ingenti danni economici.
Le strade di Amandola, come quelle di Macerata, diventate improvvisamente un fiume, hanno fatto subito pensare a quanto capitato tra Cesena e Ravenna. Ma per fortuna è andata meglio. Restano poi sul posto i danni, tanti, che i comuni non sono più in grado di sostenere. “La somma urgenza costa” ribadiscono compatti i primi cittadini di tanti piccoli comuni. Ma lo stesso vale per Parcaroli a Macerata.
Chi nei giorni scorsi si è mosso in prima linea è Francesco Lusek, che con un gruppo formato da volontari di Protezione civile è partito e ha fatto campo base per quasi una settimana a Faenza. Dove sono emerse tutte le fragilità, e potenzialità, del sistema emergenziale.
“Il progetto sisma, nato per formare soccorritori, ha permesso di creare un nucleo di Protezione civile molto solido che si muove nel sistema di emergenza. Quando ci sono dei bisogni, le strutture nazionali chiamano. In questo caso il Supporto Nazionale Emergenze che coordina una serie di associazioni in tutta Italia e usufruisce di numerosi esperti. Abbiamo risposto a una necessità” spiega Lusek, come coordinatore del progetto sisma.
Mezzi meccanici in ogni angolo delle città. Numerose le squadre operative sul campo. “Ma avevano due necessità: la prima, il supporto al coordinamento del cento operativo di Faenza, anche perché un dipendente anche a livello di visione dopo che lavora per settimane in mezzo all’emergenza ha bisogno di sostegno; la seconda legata alla ricognizione dei danni, uno scouting, attraverso tecnologie, come droni e sonde per gli ambienti sotterranei, dalle condutture alle reti idriche” prosegue il disaster manager.
Una integrazione delle squadre operative con figure esperte. “Siamo partiti in sette, suddivisi su due turni. Il primo da quattro persone, impegnate nel centro operativo, il secondo sulla ricognizione dei danni”. “Intervenire in emergenze come in quella romagnola è rendere operativa la formazione. Non ci si può solo formare in aula, il campo è determinante, l’esperienza diretta alza il livello. Poi c’è il lato umano, quella motivazione che nasce dal confronto con i colleghi di altre regioni, con il mettersi alla prova. Serve anche questo per dare forza al team che resta sempre pronto”.
Quelo che è accaduto in Romagna è qualcosa che ci accompagnerà, non ha dubbi Lusek: “Dobbiamo rivedere le attività preventive e quella di gestione emergenza. Portare le linee guida nazionali e regionali nei comuni è fondamentale. C’è un lavoro importante che va avanti da tempo sulla gestione delle emergenze, ma serve investire sull’attività preventiva strutturale sulle aree più a rischio. Consapevoli però che l’imprevedibilità c’è ed è innegabile, soprattutto per la forza della natura”.
Insomma, ci si può preparare, ma non sempre può bastare. “Sono quasi trent’anni che mi muovo dentro la Protezione Civile. Nei primi dieci anni intervenivamo solo nelle macro emergenze, come il terremoto del 1997, la Missione Arcobaleno. Oggi, invece, c’è un sistema sotto tensione mensilmente. Non c’è più il periodo di quiete, come era l’estate fino ad anni fa. La bomba d’acqua non conosce periodi. Stiamo però lavorando per essere pronti, per queto invito i comuni ad avere piani di emergenza sempre attuali, diventano fondamentali anche per le squadre di aiuto, come capitato a noi a Ravenna, che vengono da fuori zona”.
A questo si unisce la formazione delle squadre locali, soprattutto nella risposta immediata all’emergenza. “Perché gli aiuti arrivano sempre dopo ore, quindi è fondamentale farsi trovare pronti”. E anche su questo lavora Lusek con il suo tema da un angolo all’altro della Provincia e quando serve in Italia o all’estero, come avvenuto spesso nei Balcani.