di Raffaele Vitali
FERMO – Umanità, natura e civiltà. Ecco i tre perni delle opere di Costanzo Corrina, straordinario ed eclettico artista scomparso dieci anni fa a Fermo. Città che celebra l’artista pesarese, adottato sotto il Girfalco nel 1961, quando venne chiamato da Preziotti a insegnare nel liceo artistico. E proprio la scuola diretta da Anna Maria Bernardini, e animata dal professore Nunzio Giustozzi, è stata la grande artefice della personale che si apre domani alle piccole cisterne di Fermo grazie al supporto del Comune.
Corrina non era un artista comune, amava sperimentare, studiava, cambiava materia prima. Anche se di certo la ceramica era il suo mezzo preferito. “Ricordo che comprava bancali di refrattario, cuoceva, smaltava e cuoceva ancora. Pian piano il suo stile si affermava fino a diventare chiaro e facilmente identificabile. Ed è a questo punto che uno è davvero un artista, quando lo si riconosce al primo sguardo” spiega il professor Giustozzi mostrando in anteprima la mostra.
Una cinquantina di pezzi, quasi tutti inediti, che non seguono un percorso cronologico, ma temi e tecniche. “Grande modellatore della ceramica, intesa come scultura. Terracotta vera, refrattaria su cui giocava con i colori, come il verde e il materico. Gesso, resina e cera per la drammatica crocefissione. C’è di tutto in mostra: si va dai gruppi mitologici alle scene sacre bibliche, visioni apocalittiche, Madonne purissime e fregi che parlano, tipici degli agli anni ’60, fino alle arti meccaniche e i bassi rilievo squadrati” prosegue il prof.
L’immagine della mostra è il grande San Francesco, calco di un alunno di Corrina, ma spicca anche il Cristo in doppia versione. Quella completa e perfetta appesa alla parete e quella rotta che racchiude un po’ gli ultimi due anni e quella voglia di mettere da parte le difficoltà e tornare alla bellezza completa.
Ascolta e sorride il figlio Matteo, che con il fratello ha messo a disposizione i lavori, aprendo anche le porte dello studio del padre che viene raccontato in un video dagli alunni del Preziotti. “Fermo era la sua casa. E’ arrivato in una scuola che al tempo era il riferimento degli artisti, c’erano Fornarola e Pende, per citarne alcuni”. E Corrina ha saputo prendere da ognuno qualcosa, coniugando i suoi studi della natura all’innovazione tecnica.
“E poi ha lasciato tanto di sé in città, anche se spesso non lo si sa. Dal monumento davanti alla don Dino Mancini a opere dentro le chiese di Santa Petronilla e Santa Caterina fino al medaglione all’interno del teatro dell’Aquila” racconta Micol Lanzidei, assessora alla Cultura che ha subito detto sì a questa personale e con Giustozzi immagina un vero itinerario a cielo aperto tra le opere dell’artista.
“La scuola sta riscoprendo i grandi progetti del passato. Un libro per il cinquantennale e ora le mostre. Corrina meritata questo momento, il figlio ci lavorava da tempo. Farla con opere mai viste è un valore aggiunto. Perché tante ne abbiamo al Preziotti, e tre ne esponiamo incluso il camino liberty, ma volevamo andare oltre e i figli ce l’hanno permesso, grazie anche al supporto della Fondazione Carifermo”.
Giustozzi ha avuto la fortuna di conoscerlo Corrina. “Mi sono innamorato della sua opera. La figurazione del ‘900 è la linea. Costanzo è erede di una cultura figurativa e visiva, con tecniche che vanno dal rinascimento al rococò, dal liberty ai maestri delle avanguardie con cui dialoga”.
Cresciuto alla corte di Mengaroni e Sguanci, Corrina ha saputo poi affermarsi con uno stile suo lavorando la ceramica, ma anche ferro, legno, resina e cuoio scavato. “Perfino Anna Valle si mise in posa per lui nel suo atelier appena eletta missa Italia” aggiunge il critico d’arte. Era un preciso e lo si vede nelle opere in resina retroilluminata o nei calchi “frutto delle mani del fervido e fresco modellatore”.
Per il figlio, che si muove tra le opere che sembrano nate per stare tra le volte delle piccole cisterne, un risultato raggiunto: “Per me era mio padre. Dopo la morte rivedo le opere con un altro occhio, lui era riservato, parlava poco. Aveva sempre attrezzi in mano. Da tempo volevamo fare questa mostra, capita a dieci anni dalla sua morte. Ho lottato per portare fuori dall’atelier le sue opere, ma vorrei davvero che mio padre fosse davvero valorizzato”.
@raffaelevitali