Il coronavirus vive di contatti sociali e più ne ha e più cresce. A pensarci bene è la stessa logica della maggior parte delle attività commerciali.
Bar, ristoranti, alberghi, concessioni balneari, campeggi e villaggi vacanza, vivono di numeri e il tutto esaurito, l’assembramento massimo per intenderci, rappresenta la condizione ideale.
Come è possibile allora conciliare la tutela della salute pubblica e le ragioni di lavoro di tanti operatori?
La politica ad ogni livello si sta impegnando in concertazioni di categoria per addivenire a protocolli che, se rispettati - nonostante i maggiori costi dati dai dispositivi di sicurezza e la minore redditività conseguente al rispetto degli obblighi di distanziamento sociale, che si traduce in una riduzione della capacità di offerta commerciale -, dovrebbero permettere di alzare le serrande delle attività e lavorare senza problemi.
Mi dispiace, ma molto probabilmente non sarà così anche perché la politica ha aggravato e sta aggravando il rischio di impresa.
Premesso che l’imprenditore ha precisi obblighi di sicurezza, sia nei confronti dei lavoratori, sia nei confronti dei consumatori, poniamo il caso che un dipendente contragga il covid-19.
Ebbene la legislazione di emergenza prevede si tratti di infortunio sul lavoro. Già solo questo comporta per l’imprenditore l’esposizione potenziale alla responsabilità penale per i reati di lesioni e omicidio colposi.
Mettiamo che egli sia stato ligio nel rispettare le regole di sicurezza dei protocolli, ecco che dovrà subito informare, non solo le autorità competenti per i provvedimenti del caso, anche i colleghi di lavoro del malato – di cui non va fatto il nome per ragioni elementari di privacy - e i consumatori del servizio, avendo tutti questi soggetti diritto di autodeterminarsi a tutela della propria integrità fisica.
Inoltre l’imprenditore, prima ancora che l’autorità sanitaria disponga la quarantena con sorveglianza attiva per quattordici giorni di chi ha avuto contatti stretti con il caso di Covid-19, dovrà egli stesso assumere ogni iniziativa utile a salvaguardare la salute degli altri lavoratori e dei consumatori, pena un responsabilità penale omissiva.
Provare che la condotta dell’imprenditore è causa o concausa dell’evento contagio e farne discendere la responsabilità penale non è cosa semplice, in quanto la prova deve essere rigorosa oltre il ragionevole dubbio.
Altrettanto però non può dirsi ai fini del risarcimento del danno in sede civile, specie in ipotesi di responsabilità contrattuale, quando l’onere della prova della non imputabilità del danno da contagio incombe sull’imprenditore, dove saranno sufficienti prove di evidenza, secondo la logica del più probabile che non.
La difesa potrebbe comunque sostenere l’estrema diffusività del coronavirus e quindi che lo stesso può dirsi contratto ovunque, non necessariamente nell’esercizio di impresa, ma la politica sta per metterci nuovamente del suo.
A breve infatti gli Italiani avranno la possibilità di utilizzare l’app Immuni, quale sistema di tracciamento dei contatti al fine di ricostruire la diffusione del virus.
Siamo sicuri che il malato di Covid 19 nell’esercizio del suo diritto di tutela giurisdizionale non possa accedere alla mappatura di rete al fine di individuare il responsabile giuridico del danno da contagio?
Temo non basterà un protocollo a garantire serenità nell’esercizio di impresa, pertanto, che ognuno si tuteli del suo.
Avv. Andrea Agostini