Sabato mattina un convegno per affrontare il tema e capire come muoversi: a organizzarlo è Fada, l'associazione delle famiglie con disturbi.
FERMO – Disturbi alimentari e millennial, un tema da approfondire e conoscere. Ci prova Fada, l’associazione delle famiglie, partendo dai numeri: “Parliamo di una epidemia sociale. Fermo, che segue anche Ascoli piceno e Macerata, è un punto di riferimento regionale. Crescono le richieste, ma per fortuna anche le dismissioni. a oggi il centro per i disturbi alimentari segue 400 persone (3milioni i casi in Italia)”. Gli utenti? La percentuale è di 10 donne per 1 uomo, che ancora ha grande difficoltà a chiedere aiuto e magari soffre di vigoressia, l’attenzione totale al corpo che sembra normalità e che invece magari nasconde un disagio.
Funziona il centro “e con il convegno di sabato (ore 9 alla Croce Verde di Fermo) vogliamo ancora di più coinvolgere la popolazione. Ci siamo rivolti a scuole e associazioni sportive, perché diventa importante prevenire l’intervento, per portare il soggetto alla guarigione” spiega Claudia Massari, psicoterapeuta.
Il Csv è chi finanzia il convegno, attraverso un bando vinto da Fada: “Serve l’aiuto della collettività per superare i problemi. Le famiglie vanno supportate, perché sono il primo riferimento per chi soffre di disturbi di comportamento alimentare”. Sono 47 i soci di Fada, “ci sono anche familiari di persone dismesse che continuano a impegnarsi”, un’ottantina le persone coinvolte nella chat di gruppo.
Si parla di malattia, una parola che non deve far paura, ma dare stimoli di azione: “La presa in carico di ragazzi e ragazze adolescenti non può prescindere dalla famiglia. E su questo si muove Fada”. Come si riconosce il disturbo? “Si parte da segni e sintomi. L’adolescenza è una fase complicata, per cui il primo step è capire se è una crisi d’età o un disturbo. Il tempo è il primo criterio che porta all’allarme. L’età di esordio si è abbassata, ma sta coinvolgendo anche la fascia degli over 30”.
Una delle caratteristiche del disturbo alimentare è il perfezionismo, spesso si parla id ragazzi che vanno bene in ogni attività. “Far capire ad esempio ai docenti che il perfezionismo non è la strada maestra, ma che si può anche fallire è fondamentale”.
Disturbo dell’alimentazione incontrollata, spesso scambiata per obesità, e che invece prevede un mangiare in maniera compulsiva con il piacere di ingoiare. Questo si aggiunge ai più noti anoressia e bulimia. “Bisogna ricordare che il disturbo alimentare non è una questione di volontà. Uno dei concetti più complessi da far capire alle famiglie”. Da questo si parte spesso negli incontri mensili di Fada, l’associazione guidata da Alessandro Luciani: “Tutti passiamo per lo scontro, la rabbia. Ci vuole tempo per capire che è una malattia vera e propria”.
Il percorso di cura e recupero è molto soggettivo. “Si muove una equipe”. Che a Fermo è di alto livello, ma totalmente precaria. “Consideriamo che ci sono oltre 400 le persone seguite dai 12 ai 60 anni che arrivano da tre province e perfino da Ancona, perché il centro dà un servizio multidisciplinare. Un modello di riferimento Fermo, ma anche pieno di precari. Se il sistema funziona è per merito della passione di chi ci lavora al centro, che da sempre è sottodimensionata che ha solo due assunti e poi un’infermiera e un Oss. E c’è il rischio di perdere delle professionalità. Bisogna stabilizzare e inserire le professionalità”. Altrimenti è naturale che si creino le lunghe liste di attesa attuali.
Centro diurno, “che deve ancora essere convenzionato”, e ambulatorio sono i punti chiave, ma sono anche necessari dei posti letto, come deve milgiorare il rapporto con medici di base e dei pediatri, per non parlare dei nutrizionisti: “C’è un lavoro di formazione necessario. E serve l’umiltà di dover lavorare in rete, concetto non inflazionato. Perché senza un’intesa capillare non si può affrontare il disturbo” ribadiscono compatti. Come resta chiave Fada per le famiglie, che altrimenti non avrebbero un luogo per la psicoterapia familiare, al momento non previsto come servizio” aggiunge Rossella Mastromauro, psicoterapeuta della famiglia che per anni ha fatto volontariato all’interno del centro insieme con la Massari.
Il percorso ha un trattamento minimo di due anni e mezzo. Poi c’è l’unicità della persona. “Noi restiamo un luogo sicuro, in cui le persone riacquisiscono la propria personalità. Non si può però avere fretta e neppure avere paura quando si cade”. Anche per questo bisogna dare continuità. Il sogno, “in realtà una necessità” ribadisce il segretario dell’associazione Oreste Marcantoni, è un’equipe strutturata: non si può andare avanti con un solo dietista per 400 pazienti, tra l’altro in scadenza a marzo. “Servono stabilmente due psicologhe, un infermiere, un Oss, un neuropsichiatra infantile e ovviamente la dottoressa, che è il motore di tutto”.
Raffaele Vitali