FERMO – Gli anni di piombo, Aldo Moro e i suoi compagni di viaggio. La memoria entra dentro la Sala dei Ritratti di Fermo con Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, carabiniere ucciso insieme con Aldo Moro. Due carabinieri e tre poliziotti hanno perso la vita con il primo ministro in via Fani. “Non eroi, persone che hanno portato con orgoglio la divisa e hanno onorato il loro posto, anche con la vita” sottolinea. Anche se poi la parola eroi risuona più volte nelle parole delle tante autorità che intervengono.
Davanti a Ricci e alla giornalista Angelica Malvatani, che lo intervista, ci sono i rappresentanti delle forze dell’ordine, con i loro vertici, il prefetto, il sindaco Calcinaro, il vicepresidente della Provincia Pompozzi, che ha sottolineato il ruolo del Tavolo della Legalità “una rete che entra in ogni scuola per impiantare gli anticorpi dentro chi nel domani vivrà lo Stato e deve trovare stimolo nel dare parte del proprio impegno alle Istituzioni”, e oltre cento persone, interessate e attente.
“Noi dobbiamo stare attenti a non far vincere la noia che attanaglia le nuove generazioni. Mi spaventa e sono felice che questa mattina Ricci sia entrato nelle classi” esordisce Calcinaro. Il prefetto Filippi in quella Roma c’è cresciuta: “Tanti erano gli scontri che la mia famiglia mi ha mandato in una scuola privata religiosa. La paura era tanta. Ed è proseguita fino a quel 16 marzo del 1978, che ha segnato ognuno di noi che credeva nei valori. Roma si fermò. E ricordo quel 9 maggio, quando venne ritrovato il cadavere: con mia madre in piazza. E come noi migliaia di persone. Sono felice di essere qui oggi, questa Provincia, in pochi mesi, mi ha fatto vivere numerosi momenti dedicati alla legalità e alla memoria. Noi dobbiamo diffondere i valori”.
Un carabiniere che ha dato la vita e il colonnello Antonio Marinucci esordisce leggendo un passo del libro: “Roma si fermò, l’Italia intera si fermò. Quando bruno Vespa annunciò la strage di via Fani, accadde quello che nel 2001 sarebbe accaduto in tutto il mondo. Angoscia, incapacità di comprendere”. Il comandante provinciale riprende poi da un tema a lui caro: “Memoria significa far comprendere ai giovani che i diritti e le libertà garantite sono il frutto di sacrificio di molti. E noi lavoriamo quotidianamente per il mantenimento della democrazia che decantiamo. Ricci è una medaglia d’oro dei carabinieri, sono emozionato nel rileggere le motivazioni dell’onorificenza che si chiudono con altruismo e senso del dovere”.
Momenti di formazione, di cultura. Ugo Filisetti, direttore dell’Ufficio scolastico regionale, non si muove spesso, ma è venuto a Fermo per sottolineare l’importanza del ricordo: “Un uomo quando è martire delle proprie idee, non solo le professa, ma le realizza, come Domenico Ricci, diventa un modello. È stato uno dei giovani che è andato al fronte e c’è rimasto. Un uomo che credeva in una Italia più severa, più vicina alla perfezione dei santi. Domenico Ricci ha vissuto per gli altri”. In chiusura Lucantoni, dirigente della Betti: “Nel 1978 ero un bambino, ha segnato anche me. La televisione l’ha portato in casa. Ricci ha saputo coinvolgere i nostri alunni a cui cerchiamo di dare le competenze di cittadinanza. Ce lo chiede il Ministero, ma soprattutto ce lo chiedono le famiglie”.
E siccome la legalità deve essere un perno dell’educazione, il dirigente annuncia: “Dal prossimo anno un concorso scolastico, prima regionale e poi nazionale, intitolato a Domenico Ricci, legato alle tematiche dei diritti, della legalità, e la memoria”. Ascolta soddisfatto il figlio dell’eroe normale: “Non è facile fare memoria. Sono tanti i morti tra le forze di polizia. Noi dobbiamo convincere i nostri ragazzi sull’importanza del ricordo, della conoscenza. Renato Moro, nipote di Aldo Moro che insegna Storia Contemporanea, ribadisce che bisogna liberare le vittime dalla prigionia della morte, avevano una vita. ecco parliamo anche di chi erano davvero, non solo dell’ultima loro azione”.