di Chiara Fermani
MONTEGIORGIO - Quella di Orietta è una storia come tante che da un anno a questa parte siamo abituati a leggere e ad ascoltare, ma lei ha voluto raccontarla, perché anche la sua assuma un valore di testimonianza.
Mentre siamo al telefono con lei, il campanello di casa non smette di suonare perché gli amici continuano a mandarle fiori e palloncini, un modo per dirle “bentornata”, dopo venti giorni di ricovero all'ospedale Murri di Fermo e un modo per starle vicino dopo aver sconfitto, con forza e coraggio, la sua battaglia contro il Covid 19.
Un tampone positivo, lei e suo marito Daniele, una settimana di cure domiciliari e di colpo le sue condizioni peggiorano, fino al ricovero in ospedale, nel pieno della terza ondata nel mese di marzo. Le serrande della storica macelleria Marzialetti, dove entrambi lavorano, si sono abbassate da un giorno all'altro e la notizia ha fatto subito il giro di Montegiorgio. Solare, energica e sempre in prima linea nell'organizzazione degli eventi del paese, nessuno si aspettava che il suo fisico, Orietta ha solo 55 anni, potesse crollare fino al ricovero in rianimazione.
“I primi giorni in pronto soccorso, nel pieno dell'emergenza, in attesa di una cura e di un posto letto, sono stati terribili, non volevo neanche parlare con i miei familiari - confessa Orietta -. Nella mia testa c'era posto solo per la paura di non farcela, di lasciare i miei figli, sentivo solo il rumore del macchinario per l'ossigeno e un gran mal di testa”.
Nei primi giorni di ospedalizzazione, quando la malattia è in fase avanzata, quel macchinario può farti “compagnia” per molte ore al giorno e ad Orietta era stata diagnosticata una polmonite bilaterale per cui è stata necessaria la Niv, abbreviazione della "ventilazione meccanica non invasiva", uno tra gli ultimi step prima della terapia intensiva. Ma Orietta dopo qualche giorno in rianimazione, ha concluso la sua convalescenza nel reparto malattie infettive, segno che la malattia stava regredendo.
“Appena sono entrata nel reparto di rianimazione tutto è cambiato - ci racconta Orietta - mi sono sentita salva, nonostante le mie condizioni non fossero buone. Ricordo facce distese sia del personale medico che dei malati e in sottofondo “Musica Leggera”, il tormentone del momento. Lì ho ritrovato la forza di rassicurare i miei familiari e di rispondere ai messaggi dei tantissimi amici che mi hanno scritto, sono quelli i momenti in cui riesci ad evadere per qualche minuto dal letto in cui sei. Moltissimi messaggi, anche da parte del sindaco Michele Ortenzi, che ha fatto sentire la sua vicinanza ai concittadini che come me sono stati colpiti dal Covid, sono piccoli gesti che quando non hai niente, diventano tutto”.
Quella di Orietta è una storia a lieto fine e una testimonianza di come ci si possa appigliare alla professionalità delle nostre strutture sanitarie e alla vicinanza, seppur simbolica, delle persone care, ogni volta che la solitudine e la paura prendono il sopravvento.
“Il Covid ti isola dagli affetti e anche da te stesso e io voglio ringraziare tutto il personale medico, una su tutte la dottoressa Mancini e tutti i sanitari con cui sono stata in contatto in questi venti giorni, per avermi fatto sentire al sicuro e coccolata come a casa, non avrei mai immaginato di trovare tanto calore in mezzo alla frenesia e ai ritmi che si trovano a sostenere in questo momento”.
La prima sensazione che ha avuto appena uscita dall'ospedale? “Il mondo fuori mi sembrava grandissimo, tornando a casa ho fissato le montagne e respirato a pieni polmoni, pronta per ricominciare e per dare agli altri tutto il bene che loro hanno dato a me”.