FERMO - Fabrizio Luciani, presidente di Confindustria Fermo, la Finanziaria in fase di approvazione soddisfa il mondo della moda e dei calzaturieri?
“Purtroppo no. C’è solo una cosa che preoccupa gli imprenditori più della crisi economica: l’incertezza normativa. Perché siamo pronti ad affrontare le difficoltà del mercato, i cambiamenti dei gusti, la svalutazione delle monete. Quello su cui però siamo impotenti sono i tempi della politica, le promesse mancate, le certezze che diventano delusioni”.
Ci troviamo di fronte a tutto questo?
“Analizzando la manovra di Bilancio, emerge la mancanza di copertura finanziaria delle azioni che avrebbero dovuto risolvere l’ormai annoso problema del credito d’imposta per il settore moda”.
Ma non avevate auto garanzie?
“Solo poche settimane fa, insieme con i vertici della Regione Marche, avevamo avuto rassicurazioni dal ministro del made in Italy e dai tecnici ministeriali. Ora, invece, emerge l’assenza di risorse. Questo comporterebbe che l’annunciato, e già non era abbastanza, taglio del 50% di quanto dovuto dalle imprese non ci sarà”.
Problema comune?
“Direi di no, il credito d'imposta per la Zes Unica Mezzogiorno sarà prorogato al 2025, a riprova di quanto pesino pochi chilometri, visto che riguarda l’Italia dall’Abruzzo in giù”.
Tutti parlano di moda, ma poi le scelte non la tutelano?
“A parole, per la politica, è un settore chiave per il Paese e il made in Italy, di azioni necessarie, poi al dunque fa un passo indietro. Che sembra piccolo all’interno di una finanziaria miliardaria ma che pesa tantissimo nell’economia del settore e in particolare per chi opera nel distretto fermano maceratese”.
Confindustria Fermo è in prima linea da sempre nella battaglia per la difesa del settore, vi sentite soli?
“A dire il vero questa volta si sono già rivolti al Governo, con una lettera a doppia firma la presidente di Confindustria Moda, Annarita Pilotti, e il presidente di Sistema Moda Italia, Sergio Tamborini. Purtroppo nel 2024 siamo ancora fermi su una questione relativa al periodo 2015-2019 relativa alla ricerca e sviluppo inerente alla realizzazione dei prototipi delle nuove collezioni”.
Cosa manca?
“Parliamo di una serie di cambiamenti normativi, esplosi nel 2022 con una norma, tra l’altro retroattiva, con le esclusioni del settore tessile, moda e accessori, o meglio con la sua equiparazione a chi produce investimenti di natura scientifica o tecnologica. Oggi le aziende si trovano con in mano una contestazione che prevede un pagamento, interessi inclusi, non affrontabile se non mettendo a rischio la stessa sopravvivenza dell’attività. E non è neppure pensabile che avviino tutte ricorsi per affrontare questo vulnus normativo”.
Scusi presindete, ma il ministro Urso non aveva dato garanzie anticipando la soluzione?
“Dopo la riunione al Tavolo Moda del Mimit, il saldo e stralcio al 50% per tutte le aziende del settore moda che hanno usufruito del credito di imposta per ricerca e sviluppo per gli anni 2015-2019 era cosa fatta. Invece, il 31 ottobre è arrivato e le aziende dovranno pagare in modo spontaneo se non vogliono ulteriori sanzioni. Ma non hanno i fondi necessari”.
Quale è il rischio?
“Potremmo perdere parte del sistema che fa grande l’Italia e di cui la politica, a parole, si riempie la bocca ai tavoli ma poi abbandona nelle azioni”.
Roma è sorda, ma la regione?
“chiediamo aiuto, chiediamo al presidente Acquaroli e all’assessore Antonini che fa parte del tavolo nazionale della moda, di agire in fretta, chiedendo il rispetto di quanto concordato i primi di settembre a Roma: moratoria, credito d’imposta per R&D, ampliamento dell’area di crisi complessa. Abbiamo bisogno del supporto della Regione, senza se e senza ma”.
Come associazione non potevate fare i più?
“Il nostro appello va anche ai vertici di Confindustria nazionale, perché riesca a interagire con il ministro dell’Economia Giorgetti”.
Luciani, è preoccupato?
“Non si può giocare con i numeri, dietro ogni cifra ci sono persone. Se saltano le aziende, crolla il sistema sociale di interi territori si parla sempre di Ilva, lo ribadiamo: le Pmi del calzaturiero, degli accessori, dei vestiti e dei cappelli valgono molto di più. Ma siamo lavoratori silenziosi e questo spesso diventa un limite”.