FERMO – Vista la lezione di giornalismo che alcuni sindaci hanno pensato di impartire oggi agli organi di informazione, a uno in particolare, è bene ricostruire la vicenda e come si sviluppa nel corso di una giornata o, come in questo caso, in due. Ci sono notizie complicate e delicate da trattare, quella del Coronavirus è una di queste.
“I casi sospetti” riempiono da giorni le televisioni e le parole dei massimi esperti, che siano virologhi, onorevoli o semplici cittadini. Da qui la necessità di una corretta informazione. Oggi l’Asur di Fermo, con una nota chiara e netta, scrive che “non ci sono stai casi di Coronavirus a Fermo e tantomeno ricoveri all’ospedale Murri”. E questo è vero, da qui l’errore dell’articolo incriminato.
Ma dietro una notizia, verificata a più livelli, c’è sempre una verità, che purtroppo però, non essendo onniscienti, come quello che guarda tutti dall’alto, può accadere sia incompleta. Il caso finito sul giornale non è frutto di invenzione, cosa che il sindaco di Fermo dovrebbe sapere bene visto che parla con i colleghi ogni giorno, ma di una segnalazione partita proprio da un primo cittadino preoccupato. Una telefonata ricevuta dalla scuola che sollevava il caso: bambina cinese rientrata da qualche settimana in Italia con dei sintomi influenzali. In un mondo normale sarebbe finita lì. Ma la situazione in questo periodo è bene lontana dalla normalità. Il sindaco a quel punto non può che fare la cosa più normale: telefonare a uno dei responsabili del servizio prevenzione dell’ospedale Murri.
La soluzione, in un primo momento, è semplice: mandare il pediatra a controllare. E questo avviene. La prima visita è negativa, ovvero non ci sono segnali che facciano sospettare il tanto temuto virus cinese. Ma resta un dubbio, tanto che il sindaco invita la famiglia a non mandare la bambina a scuola il giorno dopo, ovvero oggi, per poter effettuare ulteriori controlli. E qui c’è l’imprecisione dell’articolo uscito sul quotidiano oggi, perché la bambina non è in ‘isolamento’ ma semplicemente a casa sua, tenuta lontano da altri contatti oltre quelli familiari. Concetto simile, ma molto diverso dal punto di vista sanitario. Questo accade e la bambina ci resta fino a che il pediatra non torna a fare un nuovo controllo, verificando anche lo stato di salute dell’intera famiglia.
Il dato finale è negativo, il sindaco si può rasserenare e soprattutto può tranquillizzare le insegnanti e gli altri genitori, che si erano allarmati. Poteva essere scritto il nome del paese? Stando ad alcuni sindaci giornalisti sarebbe stato meglio, peccato che così facendo si sarebbe resa riconoscibile la bambina che, infetta o meno, avrebbe avuto la classica lettera scarlatta sul petto.
La privacy dei bambini a maggior ragione su questioni sanitarie va tutelata prima di tutto. Non viviamo a Milano, ci sono realtà in cui a scuola vanno in quindici, anche meno. E quindi? C’era la notizia? Probabile. Si poteva scegliere se scriverla o meno, ma il fatto di partenza era la preoccupazione di un sindaco e la sua azione, documentabile, per togliere ogni dubbio. Finisce quindi così, al meglio.
Ma resta anche la richiesta di tanti altri sindaci al presidente della conferenza dei sindaci, ovvero Paolo Calcinaro, di convocare un incontro proprio per definire i protocolli, per sapere, per capire come fare, anche per come rapportarsi coni media. Quel sindaco di paese ha fatto la cosa più giusta, ha chiesto al sistema di verificare. Per cui, giusto smentire, giusto chiarire, ma anche corretto dire che ‘è stato verificata la segnalazione di un sindaco, tra l’altro supportata dai colleghi confinanti, e che non ci sono problemi. Tradotto, lunedì la bambina tornerà a scuola senza essere guardata con sospetto dal compagno di banco.
C’è stato allarme, sì è indiscutibile. Si poteva fare meglio? Probabile. Come si spera faranno meglio tanti sindaci amanti dei social quando faranno un nuovo post allarmante che però loro chiamano prevenzione.