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Confindustria Moda cambia tutto. Ceolini: "I brand rispettino i calzaturieri che investono per loro". Ripresa nel 2026

20 Novembre 2024

di Raffaele Vitali

MONTEGRANARO - Sinergie per superare un anno difficile per la moda, “un anno di crisi” è il sunto che c’è dietro la nuova iniziativa che unisce Sistema Moda Italia e Confindustria Moda, rappresentati da Sergio Tamborini e Giovanna Ceolini, che guida anche Assocalzaturifici.

Vincenzo Marinese, vicepresidente nazionale di Confindustria, non è voluto mancare per far sentire la vicinanza dell’associazione: “Sono legato alla moda, perché quando mi sono candidato alla presidenza di Confindustria Venezia e Rovigo ho preso il 100% dei voti delle aziende calzaturiere, che da sole valgono 2 miliardi di fatturato. Quindi sono molto legato. Ma non solo, a Venezia con Tamburini abbiamo avviato il primo forum sulla sostenibilità nella moda insieme con Ambrosetti. Oggi siamo qui per una operazione di sistema. Made in Italy significa fatto bene, la moda da secoli è il nostro modo di vivere, il nostro stile. In un momento delicato di mercato, bisogna concentrare le attività, fare lobby, concentrare le iniziative e giocare in attacco. Abbiamo un mercato da conquistare e aziende da salvaguardare”.

Il brand per tutti deve essere la parola ‘moda’. “Ognuno rinunci a qualcosa. Nessuno dirà chi rappresenta chi, perché poi sarà Confindustria a farlo, dall’abbigliamento all’accessorio passando per le scarpe”.

DUE ASSOCIAZIONI

La novità è che ci saranno dal primo gennaio due associazioni: una prende il nome di Confindustria Moda e una di Confindustria accessori moda. “Noi siamo la federazione che raggruppa la filiera pelle, che deve salvaguardare tutte le Pmi, accompagnandole verso nuovi mercati, soluzioni, tecnologie e sostenibilità. Le aziende hanno una media tra i 15 e i 20 dipendenti, industrie da un lato, ma poco personale impiegato nella produzione. Per cui certe sfide diventano difficili da affrontare da sole. Rappresento 102000 imprese, 140800 lavoratori,33 miliardi di fatturato. Per cui significa che creiamo ricchezza, oltre che dare lavoro e valorizzare il sistema sociale” spiega Giovanna Ceolini.

Che poi rivendica il nome: “Confindustria significa che faccio parte di un sistema, Accessori Moda, che potrebbe essere scritto in un’unica parola, è quello che ci fa riconoscere nel mondo. L’accessorio porta una visione globale”. Un sistema che porta anche turismo, “in tanti vengono per comprare quello che creiamo”. Un mondo che è economia, ma che è sociale. “La federazione raggruppa Aip, Assopellettieri, Assocalzaturifici e Unic. “tutto quello che è unito dalla pelle è parte di questa nuova realtà”.

Sistema Moda Italia, invece, diventa Confindustria Moda e da oggi Sergio Tamburini ne è il presidente. “Riportare tutto sotto Confindustria era fondamentale. Rinunciare al nome Smi, che si porta dietro 20 anni di storia, non piace a tutti. Ma è una scelta, il vero valore è il cappello di Confindustria. La moda, che non è solo paillettes e sfilate come a volte pensa la politica, è impresa, è lavoro, è fabbrica. I due sistemi superano il mezzo milione di occupati e hanno una positività nella bilancia dei pagamenti verso l’export. E in quasi tutti settori i brand chiave sono stranieri, quindi portiamo una grande capacità di realizzazione”.

RINUNCIARE A QUALCOSA

Vincenzo Marinese ha ascoltato e ora rilancia: “Dobbiamo riflettere sul modello industriale del paese e dobbiamo rimettere al centro la parola industria, che non riguarda solo l’imprenditore. È un sistema che è motore dello sviluppo dei territori e del paese. Come associazione dobbiamo migliorare la nostra rappresentanza. Per parlare sui tavoli serve una voce autorevole, che dia un senso al dialogo e lo faccia portando un vantaggio per le aziende. Solo insieme possiamo creare veri percorsi di alta formazione, sperando egoismi e personalismi. Voglio una Confindustria più coesa e compatta, dove si può mollare si molla, non si deve vincere su tutto”.

L’unicità della filiera della pelle è reale: “Quando nel 2023 Smi è uscito non siamo stati felici, la rete si era bucata, ma in quattro siamo andati avanti. Oggi siamo di fronte a un calo del 20% per pelli e scarpe, nessuno poteva essere lasciato da solo. Cala il fatturato, -8,7%, cala l’export, -8,5%, del settore, ci siamo uniti, abbiamo riavvicinato i buyer che la voglia di acquistare ce l’hanno, offrendogli un percorso unitario., perché se noi produciamo meno, loro vendono meno e quindi il tempo e le risorse non vanno sprecate”.

Oggi, ogni promessa di rete, viene arricchita da questo nuovo percorso. O almeno ci proverà. “A volte serve un passo indietro per poi andare avanti. E questo è il caso. Ci riprendiamo la rappresentanza, dopo averla lasciata ad altri senza titolo. Andremo ora nei tavoli giusti con un’unica voce per chiudere una politica industriale precisa e capire che c’è differenza tra paillettes, lustrini e manifattura, che ha i suoi tempi. Dobbiamo alzare il tono della voce” tuona Tamborini.

DIVISIONI E PUNTI D’INCONTRO

Come collaboreranno ora le due Confindustrie? Marinese è chiaro: “Auspico che le divisioni personali future non abbiamo il sopravvento sul carattere generale. Siamo un enorme sistema, pensiamo al sistema, non a noi stessi”. La Ceolini incassa: “Noi siamo peer molte cose diversi come necessità dal tessere, ma camminiamo sulla stessa strada, che ogni tanto si incrocia e si divide. Ma la voglia di collaborare c’è, la moda è una ed è quella che porta ricavi e risultati”. Stessa linea di pensiero a Tamburini: “Sotto i due nomi c’è l’industria, quello dobbiamo lavorare. Le fabbriche di piccole dimensioni, parliamo di una media di dieci persone in ogni stabilimento, hanno bisogno di noi. Ci piacerebbe creare un contratto unico, lo vorrebbero i sindacati, valuteremo”.

BRAND E CAMERA MODA

La divisione non è dimenticata: “Ci siamo divisi perché non riuscivamo a mettere in pista i bisogni del momento. Ci ha portato a riflettere a capire che muoversi a volte da soli può essere funzionale, ma siccome serve collaborare siamo riuniti sotto Confindustria. Il mio desiderio più grande è far arrivare al tavolo i brand, perché dobbiamo comunque collaborare con loro. È una cosa complicata, ma non demordo e insisterò. I brand portano lavoro, è indiscutibile, ma le aziende che hanno investito per loro devono essere rispettate. A questo dobbiamo pensare”.

C’è poi il ruolo della Camera della moda? “In due si parla meglio che in sei la vecchia Confindustria Moda è nata nel 2028, oggi il mondo è diverso, ha riti differenti. Dobbiamo essere più veloci e meno assembleari, oggi con due realtà sapremo parlarci con dinamiche rapide. Per Camera Moda dico solo una cosa, la rappresentanza degli imprenditori è titolata a Confindustria. Non è un problema di rapporti con gli altri, ma di ruoli” ribadisce tranchant Tamborini.

LA RIPRESA

Il 2025? “Non ho la sfera di cristallo, ma siamo positivi. Non è pensabile che l’onda negativa debba continuare. Dovremo puntare sulla sostenibilità, con Tamborini stiamo ragionando insieme su come farla crescere dentro le piccole realtà. E poi c’è l’internazionalizzazione in cui possiamo essere presenti in maniera compatta, abbigliamento incluso. Dobbiamo facilitare il lavoro dei buyer che - riprende la Ceolini, che dovrà far capire tutto questo ai calzaturieri che vedono evaporare la propria associazione - dobbiamo invitare e magari anche spesare, grazie a Ice e Camere di Commercio. Infine la formazione. Dobbiamo trasferire eccellenze e competenze ai giovani che hanno una maniera diversa di approcciare il lavoro. A tutti piace la vita libera e i soldi in tasca, ma dobbiamo produrre  quindi dobbiamo accattivare i nostri posti di lavoro, mettendo in evidenza la tecnologia”.

Per Tamborini “veniamo da due anni di numeri negativi. Non è una crisi congiunturale, ma strutturale. Momento di transizione del tipo di consumi, di agende geopolitiche, di sostenibilità, che ha anche versanti critici, di nuovi player come Shein che dal nulla fattura 40 miliardi. Ci sono consumatori tra i 15 e i 30 anni che dobbiamo capire e intercettare. E in questa fascia dobbiamo far capire anche che il lavoro c’è, anche se molte aziende dovranno essere accompagnate in un futuro di ristrutturazioni, di accorpamenti, di rivisitazioni. Quando si cresce di fatturato bisogna anche chiedere quanto è cresciuto il prezzo medio, cosa che nell’ultimo periodo è non più equo. Se calano le unità di prodotto, la manifattura scende, poi magari i fatturati crescono grazie ai prezzi”.

La conclusione è del vicepresidente Marinese che prepara le imprese al ‘nuovo mondo’ di Trump: “Sono convinto che il 2026 sarà come il 2022 del turismo. Il primo semestre del 2025 sarà difficile, poi ci sarà una ripresa e il 2026 sarà molto positivo. Potremmo velocizzare se l’Europa anziché preoccuparsi dei dazi riflettesse sui tempi: in Usa un governo in undici giorni, in Europa mesi per una commissione. Con i dazi si risponde con i dazi, guarderemo ai mercati emergenti come l’India e i Paesi Arabi, che crescono. Noi siamolo 0,04% della popolazione mondiale, più del 20% guarda al made in Italy come qualcosa di funzionale. Non mi posso preoccupare dei dazi, devo invece spingere per un’Europa che si sveglia e accelera, superando politiche inutili e attivando quelle funzionali, come sta aspettando il mercato dell’auto per non far saltare un sistema”.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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