Mi chiamo Andrea, ho 52 anni, sottoposto come molti a stress compenso con la buona tavola, ma grazie ad attività sportiva regolare posso dire che sostanzialmente godo di buona salute.
Premesso ciò mi domando cosa accadrebbe se nei prossimi mesi mi ammalassi gravemente di covid19?
Su presupposti costituzionali, ritenendo che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” e che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali”, immagino il sistema sanitario pubblico si prenderebbe cura di me come di chiunque altro.
Bene, ma la primavera scorsa ha già dimostrato come strutture e personale siano insufficienti a fronteggiare il covid19.
E allora se malauguratamente a fronte della recrudescenza della pandemia ci fosse una carenza di posti letto in ospedale, chi verrebbe ricoverato e chi costretto a rimanere a casa?
Se poi ci fosse un solo respiratore disponibile e ad averne bisogno fossimo io ed un’altra persona, chi vedrebbe salva la vita?
L’altro è più anziano o più giovane di me? Quale la sua aspettativa di vita? È affetto da altre patologie che potrebbero incidere sulle sue possibilità di guarigione? O magari questi è un medico o un infermiere, che se salvato potrebbe essere socialmente più utile di me nel combattere la guerra al coronavirus?
Una ruota della fortuna a girare la quale sono chiamati i medici, le cui associazioni in Italia e nel mondo redigono protocolli da seguire a fronte di scarsità di risorse di cura nel selezionare chi assistere e chi lasciar morire.
Se il protocollo di una sigla associativa può essere utile a lenire la sofferenza psicologica della coscienza di chi è chiamato ad assumere per dovere scelte tragiche, siamo sicuri questo sia sufficiente ad evitare responsabilità giuridiche di strutture ed operatori?
Chiunque vorrebbe vederci chiaro a fronte della morte di un congiunto e allora dobbiamo ritenere che tanto più il criterio di scelta è chiaro, tanto più vi sarà buona pace per tutti.
Ma il più chiaro dei criteri, l’età assunta a valore assoluto, è criterio legittimo?
E quando inserissimo contemperamenti di questo con altri elementi di opportuna valutazione, come ad esempio la presenza di altre patologie e quali e in quale stato e la chance di sopravvivenza, non si rischierebbe forse di perdere di trasparenza nella scelta?
Piuttosto che lasciare il fardello sulle spalle dei medici ritengo non solo opportuno ma necessario un intervento del Parlamento.
Urge una legge di disciplina di salvaguardia uniforme per l’intero territorio nazionale, se alla tragedia di perdite di vite non vogliamo aggiungere un ulteriore collasso, non solo economico e giudiziario ma anche e soprattutto morale, del sistema Italia.
*Avvocato Andrea Agostini