È la stagione del centenario, l’anno della commemorazione che corre al fianco di una ennesima annata tra i professionisti. La società lo celebra con video e testimonianze. Laprovinciadifermo.com ha scelto Valentina Sabelli, una giovane storica tifosa, una ‘da trasferta’, una che non ha dubbi: la maglia viene prima del nome, da un secolo.
di Valentina Sabelli
Cento anni. Due colori, giallo e blu. Una città, Fermo. Un numero incommensurabile di cuori che hanno pulsato per un secolo all’unisono. Una passione gialla come il sole sulle colline che ci circondano, blu come il mare che bagna la nostra fortunata terra.
È ormai lunga la strada percorsa dai canarini; ha vissuto l’eredità della prima guerra mondiale, ha affrontato la seconda. Ha visto mutare il gioco più amato del mondo, i suoi tecnicismi.
La Fermana ha avuto, nella sua storia, l’onore di scontrarsi contro giganti che oggi si contengono la Champions League: indimenticabili quel 3 a 2 contro il Napoli o le vittorie contro l’Atalanta e il Genoa, momenti in cui tutti sognavano di dire ‘io c’ero’.
Ma come in tutte le storie d’amore, bisogna anche ricordare i momenti in cui è stata dura portare avanti la “relazione”. Anni complessi, anni di playout, anni di trasferte in pulmino, noi abituati ai pullman, alla scorta del reparto mobile.
Dal “San Paolo” di Napoli e dal “Marassi” di Genova ai campetti dell’entroterra. Noi tifosi abbiamo imparato in quel momento il senso di resilienza. Il 2020 ci ha ricordato cosa significa e ci dimostra ancora una volta che passione e dedizione resistono.
La domenica a creare coreografie. In settimana la mattina a scuola, i pomeriggi sotto la curva a dipingere striscioni. Adolescenza sana. Appartenenza. Madri e macchine da cucire che producevano bandiere da sventolare, ciambelloni per merenda.
Non ho mai saputo i nomi dei calciatori: noi tifavamo la Fermana. Bastava così, anche negli anni più difficili. Tre esempi. 2011. Stop forzoso in eccellenza. Adami segna. Sul petto ha la dorica. Perdiamo. È un fermano a condannarci. Ci ha ferito due volte.
2012. Secondo stop forzoso. A Tolentino in trasferta. Paris fa esplodere la nostra curva ospite. Non basta. La squadra torna a casa e trova i tifosi in lacrime ma con i cori, il rispetto e l’amore nell’aria. In quell’anno i temibili ultras hanno anche spalato tonnellate di neve per liberare il Recchioni.
2013. Trasferta a Rieti, eravamo un fiume. Finale di Coppa Italia. Gol del cucciolo canarino Mangiola. È un diciassettenne sangiorgese a riportarci in D.
Sono stati anni intensi quelli. Si respirava comunque professionismo. Gli avversari erano intimoriti da quegli spalti sempre pieni. Onorati di calpestare l’erba del Recchioni anche se troppo avversari per ammetterlo. Sono stati gli anni in cui i tifosi si sono messi le mani in tasca per aiutare gli atleti, quei calciatori che in estate tornavano per giocare il “torneo dell’orto”.
La Fermana di oggi ci ha riportato tra i professionisti. Vivere il centenario della nostra fede fuori dai cancelli è surreale. Avere un sindaco tifoso e non poter radunare, come di certo avrebbe fatto la società, i pilastri della storia gialloblù è surreale.
Il mio intento è quello di trasmettere a chi indossa oggi la maglia tutto l’onore che proviamo noi tifosi nel sentirci fermani. in modo che arrivi forte seppur in uno stadio vuoto, ad ogni partita, ad ogni goal, ad ogni vittoria, ad ogni sconfitta.
L’intento è quello di tramandare la bellezza dello sport vissuto in purezza, a suon di cori, di caffè da bar primavera prima del fischio di inizio e di birretta alla fine di tutto. Il mio intento è quello di abbracciare Alfredo, Alvaro e tutti gli altri ultras che ci hanno insegnato ad amare la nostra città in questo senso. Questo è il miglior modo per riassumere 100 anni di amore, passione, sofferenza e gioia.
redazione@laprovinciadifermo.com