di Raffaele Vitali
MONTEGRANARO – Industria 4.0. Un po’ di futuro in mezzo al dramma del quadro economico distrettuale. “Il Rotary ci porta spunti di riflessione. Quando si ha paura si rischia di perdere la lucidità, che invece è fondamentale per trovare le ragioni dell’operare e per individuare strategie per uscire o alleviare la crisi ormai sistemica” sottolinea il sindaco Ediana Mancini aprendo l’incontro che a Montegranaro ha come protagonista il direttore di Marche e Abruzzo di Ubi Banca, Roberto Gabrielli.
Emanuele Intorbida è la voce del Rotary: “Dobbiamo partire dal ‘non sarà più come prima’ e riflettere”. A volere l’incontro il presidente della sezione veregrense: “Dobbiamo aiutare gli imprenditori a entrare nei mercati, in maniera sicura riflettendo anche sui vantaggi economici tramite il credito d’imposta e con l’aiuto delle banche. Per questo abbiamo con noi anche il numero uno di Ubi”.
Ma come è la situazione nel Fermano? A Giampietro Melchiorri, vicepresidente di Confindustria Centro Adriatico, l’impegnativo compito stimolato dal giornalista Andrea Carloni: “Parlare di Industria 4.0 nelle Marche è complicato. Noi siamo una terra manifatturiera. Ma cosa è innovazione per il calzaturiero? Un video dell’Adidas mi ha fatto capire che produttivamente dovevo allontanarmi da quel braccio meccanico digitalizzato. Non era la strada per la mia azienda. Noi abbiamo innovazione nel processo produttivo, dove invece dobbiamo innovarci è al primo piano. Dobbiamo raccontare la nostra storia con il 4.0: comunicazione, social, marketing”. Da qui la critica al suo mondo: “Noi siamo abituati a pagare un dipendente, un montatore, che è il pezzo pregiato della fabbrica, ma se dobbiamo investire duemila euro per un esperto di marketing, il nostro cervello pensa che sia una spesa. Dobbiamo fare un salto culturale. Industria 4.0 è una leva importante perché un imprenditore lo possiamo paragonare a uno con le ossa rotte che cerca la sua terapia. Industria 4.0 è una terapia, ma va adattata, capendo che marketing, comunicazione e racconto della storia sono la vera innovazione. Dobbiamo capire che noi imprenditori non possiamo fare tutto da soli, quindi investiamo”. Bisogna riflettere anche su un altro dato, che non è solo la calzatura a essere in crisi, ma “tutto il sistema Marche. Mancano le leve: infrastrutture ed efficienza di pubblica amministrazione. Abbiamo un aeroporto ancora non degno di questo nome, manca la terza corsia fino a sud, manca la Mare-monti, il sequestro di viadotti mette in crisi la Regione perché non esiste una alternativa. E le ferrovie? Da Pescara ad Ancona non c’è una sola fermana, da Ancona a Bologna sono quattro: questo nel 2020 è un fattore determinante. Dal 2009 al 2019 il Pil mondiale è cresciuto del 22%, l’America del 29%, quello dell’Ue dell’1,7%, l’Italia 0. E per quanto riguarda la PA, riprendo Carlo Cottarelli: se fossimo noi Marche come l’Emilia Romagna cresceremmo del 7-8%, come la Germana del 17%. Numeri importanti, perché l’imprenditore di Pesaro non è meno intelligente di quello di Riccione, ma gioca con un gap”. Crede nell’area di crisi complessa Melchiorri: “Sarà utile anche per portare giovani dentro le aziende”.
Roberto Gabrielli prende appunti, è il direttore della macroarea Marche e Abruzzo, a lui il compito di dare speranza a chi sta boccheggiando: “Paghiamo l’incertezza politica. Non ricordo infrastrutture avviate negli anni ’90. Oggi viviamo in un Paese che va meglio del previsto grazie alle Pmi. Siamo di fronte a un enorme debito pubblico che ci impedisce di fare investimenti. E comincia a mancare anche la voglia di mettersi in gioco, siamo segnati dal negativo. Servono politiche di investimento, di aiuto di supporto alle imprese. Il lavoro non si crea per decreto, ma perché le imprese assumono”. L’approccio al tema è macro, ma le soluzioni sono locali: “Siamo la seconda regione in Italia per manifattura, ma con pochi brand. La scarsa lungimiranza è stata quella di non investire sul marchio e così chi cerca la manifattura medio bassa è andato via, perché i nuovi paesi hanno vantaggi che noi sogniamo: costo del personale e infrastrutture in primis. In Cina hanno costruito un ponte più grande di Genova in tre mesi. E lo hanno fatto sull’acqua. Come possiamo competere?”.
Ancora più difficile visto il crollo dei consumi: “Crollando la domanda, cala la manifattura. In questo momento la guerra dei dazi sta facendo danni, non perché colpiscono i nostri prodotti, ma perché i paesi più ricchi, dagli Usa alla Cina all’India, iniziano a consumare di meno, guardano meno all’alto livello, quindi a noi e alla Germania, leader dell’automotive di cui noi siamo terzisti”. E la banca cosa fa? “La gestione del credito è cambiata. Noi dobbiamo creare delle filiere creditizie. La Pmi lavora per una grande azienda deve avere la finanza necessaria. Uniamo la grande azienda al fornitore, in modo da far diventare il rating della grande quello della piccola. Sappiamo che finanziamo innovazione del processo produttivo garantito dal lavoro per l’impresa principale. Poi c’è il tema del cercare il partner Confidi per dialogare con la banca. Un tandem che funziona. Costa? Pensate all’investimento, non al costo”.
La frase finale è quella chiave: “Non mancano i soldi, spesso i progetti. Dal 2008 al 2017 l’Italia è passata da 27 miliardi a un miliardo di investimenti. Parlo di pubblico e privato. Oggi 4.0 che non è solo comprare il macchinario, ma, come dice Melchiorri, capitale umano e governance aziendale. Avere dei manager esterni può essere la garanzia per la crescita. Non è detto che da un calzaturiero nasca un calzaturiero, e così per il bancario. Se una banca non dà una finanza a un’azienda con queste idee, non è una banca sana”.
Cosa aspettarsi per le Marche? “La fiducia serve. Ci aspettavamo un Pil dell’1 e faremo 0, il prossimo anno si parla di 0,4 e allora spero nell’1. Il punto è che i problemi non finiscono domani. Se le Marche sono un riferimento è per merito delle imprese. Se ci sarà il Pil positivo è per le imprese e magari per le banche che supporteranno i processi di investimento. Nonostante il gap infrastrutturale e i burocrati, che fanno più danni della burocrazia. Va bene l’agroalimentare, ma non potrà sostituire la manifattura. Di certo dobbiamo cavalcarlo, legandolo al turismo. Quando si cresce sul turismo c’è un traino dell’economia. Dobbiamo creare il brand Marche, che parte dalle calzature, che tocca l’agroalimentare, arriva alla meccanica e alla cultura. Se dobbiamo fare una strategia per le Marche del 2030, dobbiamo iniziare oggi. Siamo una regione piccola e compatta, ma basta con le parole, servono fatti”.