di Raffaele Vitali
FERMO - Max Giusti per tre giorni protagonista al teatro dell’Aquila di Fermo con il suo show ‘Bollicine’. L’attore, dopo la grande esperienza con il Marchese del Grillo torna e si prepara a conquistare il pubblico.
Max Giusti, il teatro dell’Aquila per lei è una seconda casa?
“Sono molto contento, più che una seconda casa è un punto di arrivo, un traguardo dove sono nati i miei nonni, dove è cresciuto mio padre. È il teatro dele radici, dove ho visto i primi spettacoli. E se diventa anche una seconda casa è un grande piacere.
Quale senso dà alla parola bollicine?
“Esplosione, qualcosa che salta, che si stappa, si libera e travolge il pubblico che si trova di fronte a me”.
Perché in Italia non esistono produzioni che durano anni, come i musical inglesi? Il suo marchese del grillo non poteva essere il personaggio da non lasciare mai?
“Perché non siamo inglesi, non abbiamo questa tradizione. No c’è stato il culto nel nostro paese di far nascere delle vie e delle zone dove le persone vanno a vedere spettacoli teatrali. E poi l’italiano non è come l’inglese o lo spagnolo che sono lingue comuni, gli stranieri che vengono non sono attratti. Questa è la grande difficoltà. Ma non credo di voler mai lasciare il marchese del grillo”.
Fermo la ama particolarmente, soprattutto il suo sindaco. Che rapporto ha con Paolo Calcinaro?
“Ho scoperto che era il sindaco facendo una gaffe, tutto sembra tranne che l’autorità, non l’ho mai visto con il tricolore. Ma è simpatico, è sempre il primo quando vengo che mi chiama, mi d, il benvenuto. Spero si possa diventare amici”.
Tornando alle Bollicine, quali son le verità scomode che racconterà dal palco?
“Uno show contemporaneo. Si ride per due ore, dal primo secondo. Si parla di patriarcato, body shaming, di trap, di lavoro, di solitudine degli anziani, della difficoltà di essere informati nel 2024, essendo tutto disponibile. Di sicuro non è uno spettacolo politicamente corretto. Chi ancora si lamenta che non si può dire nulla, sono quelle ancorate agli anni ’80 e ’90 in cui per far ridere qualcuno bisognava offendere un altro per gusti sessuali colore o orientamenti. Quindi venitelo a vedere, senza paura. Ma le bollicine possono diventare una mareggiata. E poi da queto tour si sono infilati sul palcoscenico Aurelio De Laurentis e Alessandro Borghese”.
Come sta il teatro, è in salute?
“Ha una grandissima concorrenza, quella della musica. Rispetto ad anni fa dove c’erano contratti enormi con le case discografiche, da quando non si vendono più i dischi guadagnano molto meno dai diritti d’autore e quindi ci sono tantissimi live. E c’è quindi concorrenza. Una famiglia magari deve scegliere tra musica e teatro, tra loro e u figli. Unico modo per difendersi è essere più bravi possibile e impegnarsi al massimo. E di avere uno spettacolo come Bollicine, che ha una platea molto più giovane del mio show precedente e in media è under 30. Un lavoro duro concepirlo, ma mi ripaga. Il teatro siamo noi, teniamolo vivo”.
È così difficile passare da perno del teatro locale, come è Macchini, a volto nazionale? Un consiglio al suo ‘cugino’ di via Zeppilli?
“Piero Massimo Macchini non solo è un perno del teatro locale, in modo incedibile. Ha una dote, è produttivo ad alto livello. Un fiume in piena con nuovi progetti, anche i suoi laboratori stanno aiutando tante persone ad approcciarsi al palcoscenico, anche con una comicità più marchigiana. Sta facendo la sua strada, è bravo, è l’unica persona con cui condivido volentieri un palcoscenico e secondo me ha espresso una piccola percentuale delle sue potenzialità. Gli voglio bene e lo stimo”.
Il cinema non la attira quanto il teatro?
“Ho fatto due film da protagonista. Ora ne uscirà un altro, ‘Dicono dite’, in prima serata sulla Rai. Mi piacciono i nuovi progetti, cinema, teatro, televisione, one man show, ho l’entusiasmo di un debuttante. E lo porterò sul palcoscenico del teatro dell’Aquila”.