di Raffaele Vitali
PESARO – Ci sono momenti che fanno la storia. Uno di questi è quando una società decide di ritirare la maglia di un giocatore. È avvenuto a Pesaro, con la decisione di non far giocare più nessuno, da ora in poi, con il numero 14. Due cifre che a Pesaro, dai tempi del primo scudetto, hanno un solo volto: Ario Costa.
Ma questo, nonostante il valore di quel giocatore, ho ha impedito a qualcuno di fischiare durante la cerimonia. Il motivo è presto detto: Costa, da anni, è il presidente della Vuelle che non sta più tra le grandi. Ha preso le redini della gloriosa società nel momento più difficile, quello del dopo Scavolini, quello del bilancio risicato da far quadrare come accade in casa se arriva una bolletta troppo alta. E a Pesaro, di bollette, ne arrivano tante, ogni mese.
Costa ha fatto una scelta: spendere quello che si ha. Bene, male? Le stagioni hanno dimostrato spesso che indovinare gli uomini giusti entro agosto non è facile, anzi. E così, cambi in corsa, aggiustamenti, nuovi inserimenti, stagione dopo stagione è stato questo il modus operandi del presidente Costa, che è rimasto coerente con il giocatore. In campo Costa era duro ma corretto.
Certo, qualche volta il gomito si alzava, ma era il basket tipico degli anni 80-90, quando dall’altra parte non c’erano eleganti atleti, ma solidi lottatori come Meneghin. Quel modo di fare è diventato un modo di vivere: pochi sorrisi e tanto lavoro.
Il problema è che gli anni hanno riservato poche gioie sportive a Pesaro, a parte una. La permanenza stabile in serie A. Non un dettaglio, ma il punto chiave di ogni società: mai retrocedere. Negli anni qualcuno lo diceva anche: andiamo in A12 e creiamo una squadra competitiva. Ma Costa no, lui che in campo c’è stato e non l’ha visto solo dalle tribune, sa bene cosa significhi scendere di categoria e poi dover risalire, quando in tante hanno lo stesso obiettivo.
E così, meglio soffrire, fino all’ultima giornata, ma mantenere la A1. Anche questo è in realtà un merito che sale sul tetto della Vitrifrigo Arena vicino all’amico Walter Magnifico e il suo 6 che a Pesaro è il numero del ‘capitano’.
Tornando al giocatore, davanti a 7mila tifosi, quasi si stesse lottando di nuovo per gli scudetti e no per un sogno ottavo posto che vale i play off, ascoltando i numeri anche i più dubbiosi avrebbero dovuto convenire che un lungo applauso era la soluzione ideale per celebrare Ario: 12 stagioni con la maglia dell’allora Scavolini dal 1984/1985 al 1995/1996 con 431 gare disputate e 2603 punti realizzati, condite anche da 193 partite con la Nazionale. “Una grande sorpresa, un’emozione. Dedico questo riconoscimento a tutti i miei compagni di squadra”.
Perché questo è Ario Costa, non il leader, ma una colonna di un gruppo che ha reso Pesaro una piazza storica del basket, un luogo che era ambito dai grandi americani e che ora, con il rafforzamento della società, a cominciare dall’imprenditore Pizza, con poco potrebbe tornare tale. Per il pubblico, non ci sono problemi: 7mila persone possono diventare diecimila senza neppure faticare.
Pesaro è il basket, Costa, insieme con Magnifico, ora lo ricorderà a ogni giovane che entrerà dentro il palazzo e si chiederà: ma perché il 6 e il 14 stanno lassù? Perché hanno fatto grande Pesaro, perché, soprattutto il pivot dal gancio mortifero, ha tenuto in alto Pesaro.