FERMO - Erano finiti a processo in quattro, due infermiere e due medici in servizio presso il Pronto Soccorso di Fermo, tutti con l’accusa di omicidio colposo per il decesso, avvenuto nel settembre del 2018, di un’anziana signora.
Inizialmente, la donna, ricoverata presso una residenza per anziani del fermano e giunta al pronto soccorso in tarda notte, non aveva saputo spiegare come fosse arrivata nel punto in cui, riversa al suolo, era stata ritrovata dagli operatori della struttura; solo successivamente al decesso, si era compreso che era precipitata da una finestra posta al primo piano dello stabile.
Nonostante l’incertezza sulle cause del malessere, i medici le avevano prestato tutte le attenzioni del caso tanto che, all’aggravamento delle condizioni cliniche della paziente, era seguita una pronta ed adeguata risposta sul piano diagnostico e terapeutico: dapprima, con l’effettuazione di tutti quegli esami radiografici prescritti nel caso concreto; poi, con la diagnosi di un’emorragia interna ed il trasferimento presso l’ospedale regionale di Ancona ove avrebbe dovuto effettuarsi l’intervento chirurgico richiesto.
Tutto ciò non era valso, però, a scongiurare l’evento e la conseguente apertura di un’indagine a carico di tutti i sanitari del Pronto soccorso che avevano avuto in cura l’anziana donna, ipotizzandosi che l’emorragia fosse stata diagnosticata con colpevole ritardo e che maggiori scrupolo e prudenza nel trattamento medico avrebbero potuto abbreviato i tempi del trasferimento in Ancona garantendo alla paziente maggiori chances di sopravvivenza.
Nel corso del giudizio abbreviato, i legali della difesa, gli avvocati Igor Giostra, Roberto Calcinari, Savino Piattoni e Francesco De Minicis, hanno sostenuto come non vi fosse stato alcun ritardo nel trattamento della paziente sottolineando, anzi, come la risposta dei sanitari, al mutamento delle sue condizioni cliniche, era stata tempestiva al punto che, nel giro di appena un’ora, erano stati compiuti tutti gli esami strumentali previsti dalle linee-guida, sciolto il quesito diagnostico e predisposta la “centralizzazione” a Torrette.
Il comportamento dei medici doveva ritenersi, dunque, ineccepibile, denotando, anzi, una prontezza d’azione ed un acume diagnostico fuori dall’ordinario, specie a fronte dell’incertezza sulla dinamica dell’accaduto ed in un contesto caotico e di complessa gestione come quello di un pronto soccorso.
All’esito del giudizio di primo grado, il G.U.P. presso il Tribunale di Fermo, Dott.ssa Pepe, ha ritenuto di condividere le tesi difensive assolvendo gli imputati con formula piena per insussistenza del fatto.
"Siamo molto soddisfatti - commenta l’Avv. Igor Giostra, - per la piena assoluzione ottenuta dai nostri assistiti, sulla cui estraneità causale al decesso dell’anziana e sulla cui diligenza medica abbiamo sempre contato, tuttavia questo processo dimostra, una volta in più, come le recenti riforme legislative, volte a circoscrivere l’area di responsabilità penale in ambito medico-chirurgico, abbiano solo in parte risolto il problema e come, al di là del dato formale, sia necessaria, sul piano concreto, una maggiore accortezza nella valutazione dell’errore diagnostico ".
"Il rischio, infatti, resta sempre quello di creare un clima di eccessiva ed ingiustificata diffidenza attorno all’operato del personale sanitario finendo per condizionarne negativamente le prestazioni e minare la tutela del diritto alla salute dei cittadini. Da un lato, è assolutamente giusto che la vittima di prassi sciatte e scorrette ottenga giustizia per quanto subito, dall’altro lato, però, occorre difendere la dignità della classe medica e riaffermarne il diritto al esercitare la propria professionalità al riparo da pregiudizi che ne compromettano la serenità e l’autonomia operativa".