di Francesca Pasquali
FERMO - Sforna un’ottantina di piatti caldi al giorno, la cucina del
Ponte. In poche settimane, ha raddoppiato i pasti che prepara ogni dì.
Colpa del Covid che ha messo sul lastrico anche chi, fino a qualche
tempo fa, non si sarebbe mai sognato di starsene in fila davanti alla
porta di via Da Palestrina. Dove, ad accogliere i bisognosi, oltre ai
volontari storici, c’è il presidente dell'associazione, Silvano
Gallucci.
Presidente, una nuova povertà?
«Il Covid ha aggravato la situazione di persone già in sofferenza. Ma
anche di persone che, prima, non sarebbero mai venute da noi. Che
avevano un lavoro e che, soprattutto all’inizio, si avvicinavano con
vergogna».
Di che numeri parliamo?
«Da quest’estate abbiamo raddoppiati i pasti. Adesso, siamo tra i 70 e
gli 80 al giorno, inclusi quei pochi che consumiamo noi e una decina
che la Croce Rossa conferisce a casa di chi non si può muovere. A
ottobre, i volontari hanno consegnato 350 borse alimentari che hanno
sfamato 480 persone».
Dove vanno?
«Nelle famiglie con le situazioni più varie. Quando mancano i soldi,
la convivenza diventa difficile. Le persone resistono. Poi, quando non
ce la fanno più, vengono da noi. Dove possibile, cerchiamo di aiutarli
con corresponsabilità. Se hanno un fornello, li sproniamo a cucinare».
Cos’è cambiato dalla prima ondata?
«A marzo e aprile la gente aveva paura. Adesso è subentrata
l’angoscia, perché non vede la fine della malattia che, anzi, si è
riaccentuata. Sembra che non se ne venga a capo e, se non hai un
grande equilibrio, non ce la fai».
Chi è l’utente medio che si rivolge a voi?
«Soprattutto fermani. Persone di mezza età, ma anche giovani. Vengono
per avere un pasto, ma anche una parola di conforto. Con il Covid, non
ci possiamo guardare in faccia. Abbiamo perso il sorriso. Noi proviamo
a ridarlo. Poi ci sono i pakistani, che dormono all’aperto. Si
presentano con un bigliettino con scritto “Il Ponte”. Parlano solo la
loro lingua e capirsi è difficile, ma riusciamo lo stesso ad aiutarli.
Anche con le docce e un cambio di vestiti. Ma manca un pronto
soccorso».
Cioè?
«Un’accoglienza immediata, oggi per oggi, per chi è in strada. La
Caritas diocesana ha dei posti letto, ma l’accesso non è immediato.
Serve qualcosa subito, soprattutto adesso che andiamo verso
l’inverno».
La città vi aiuta?
«Ci sono persone che ci fanno sentire la loro vicinanza. Ne abbiamo un
gran bisogno. Questo non è il momento migliore per iniziare il
volontariato attivo, ma, per avvicinarsi alla nostra realtà, sì.
Preparare 80 pasti al giorno significa un impegno notevole, ma anche
un costo. Abbiamo bisogno di gente generosa».