FERMO – Una cosa è certa: la dottoressa Daniela Lucangeli è stimata, amata, rispettata, ascoltata, ammirata da chi si muove nel mondo dell’educazione scolastica e di chi, invece, ha anche fare per altre ragioni con i giovani. Riempire per due volte, mattina e pomeriggio, gli 800 posti del teatro dell’Aquila è qualcosa che riesce solo alle rockstar. E lei lo è nel campo della pedagogia e della neuroscienza.
A portarla a Fermo è stata Pisana Liberati, consigliera provinciale e perno del progetto Giovani Futuro che ha permesso alla Provincia, come ricorda il presidente Michele Ortenzi, di essere l’unico progetto finanziato nelle Marche. “Fare politica è migliorare il futuro e per farlo bisogna passare per la scuola. Amo circondarmi di chi sa insegnare. Ho così incontrato Daniela Lucangeli, tra i massimi esperti internazionali dell’apprendimento. E oggi è qui, perché parlare dell’errore è fondamentale. Vogliamo agire su docenti, famiglie e studenti” è il lancio di Pisana Liberati all’amica ospite.
Che parla senza sosta, dimostrando la grande capacità di mantenere alta l’attenzione del pubblico, oltre che di regalare contenuti. Ha una tecnica tutta sua la Lucangeli: spiega, spesso in maniera molto complessa gli argomenti, poi si ferma, sorride e dice ‘riassunto’. Il momento del ‘bignami’ che raggiunge tutti, permettendo quel salto educativo che ogni docente deve comprendere. Il salto è tra il chiedere ‘hai capito?’ e il ‘vi ho fatto capire?’, due domande che modificano completamente il rapporto tra emittente e ricevente.
L’incontro di mattina con gli alunni delle scuole superiori ha permesso alla Lucangeli di capire, o meglio di avere conferma, del fatto che “sono stanchi di stare ad ascoltare. Per questo gli ho chiesto di riflettere su tre errori comuni: il più bello, il più doloroso, il più brutto”. Uno di loro, a fine incontro, le ha consegnato un bigliettino con dentro le sue risposte: “Il più bello è stato fidarmi degli altri a mio discapito. Il più brutto smettere di credere che valgo tanto. Il più doloroso è la solitudine”.
Mentre legge, cala il silenzio in un teatro mai così attento. “Vedete, non dobbiamo mai dimenticare che errare indica muoversi, significa attraversare, andare verso il cambiamento. Chiamare errore ciò che il movimento comporta, quindi la non perfezione, è uno sbaglio. Esiste un diritto all’errore, che è anche qualcosa che può far emergere un malessere” prosegue la Lucangeli.
Che poi usa una serie di slide ed esempi, alternando passaggi tecnici e di alto livello a riassunti che impattano sulla mente anche del più stanco degli auditori. “Dobbiamo uscire dalla logica che se sbaglio sono colpevole, sono un fallito. Perché o così che poi nascono patologie, l’idea di essere sbagliati. È l’errore inteso come colpa”.
L’evoluzione a questo modo di pensare lo ha offerto Popper e poi tutto il progresso della neuroscienza: “E’ il momento in cui guardiamo al cervello in modo diverso, comprendendo che dobbiamo pensare al self, al me e non all’io. Se il primo approccio all’errore era la colpa, in questo caso siamo all’intelligenza intesa come errare continuo, un movimento senza sosta che determina un flusso di informazione in cui è protagonista chi riceve e chi dà.
È la fase del fuori-dentro, dentro-dentro, dentro-fuori. È quello che ci permette di capire che l’intelligenza è la trasformazione attiva di ciò che sai tu, che arrivando a me viene arricchito e poi restituito in maniera diversa. Se a scuola ragioniamo con l’apprendimento inteso come io insegno, tu apprendi e io verifico, trovando l’errore, generiamo una ripetizione passiva e trasformo la mente in un frigorifero contenitore delle informazioni. Invece, l’errore è parte del processo da dentro a dentro: l’errore torna indietro, chi insegna deve aiutare la persona a modificare quanto appreso, non limitarsi a giudicare.
Il sistema educante che ingozza di informazioni è destinato a essere sofferente, bisogna dare il tempo della elaborazione, far sì che quello che so io diventi parte di quello che sa lui”. Illuminante la Lucangeli, i docenti ascoltano, qualcuno confabula, molti annuiscono fino all’applauso.
Il passaggio finale è di quelli che tutti si riportano a casa: “Maria Montessori diceva: aiutali solo dove sbagliano, lascia che facciano da soli. Noi invece cerchiamo di eliminare gli errori. Quando invece servirebbe dire ‘chiedi aiuto, è qui che mi serve la relazione con l’altro’. Così l’errore si corregge, l’emozione si modifica e da un errore che mette angoscia e solitudine, si passa alla soddisfazione, alla consolazione e al conforto. È il processo di accomodamento che si chiama aiuto. Troppo spesso, nel processo educante, sostituiamo l’aiuto con il giudizio. Se il ragazzo in difficoltà chiede aiuto e io rispondo ‘te l’avevo detto…non meriti’ non raggiungeremo il nostro obiettivo, falliremo il compito”.
Raffaele Vitali