di Raffaele Vitali
FERMO – Adolfo De Carolis. Un nome che al primo impatto potrebbe non dire molto. Almeno non a tutti. Ma in realtà, per la storia dell’arte ha un peso rilevante. “Potremmo definirlo anche uno dei primis designer” sottolinea il presidente e della Fondazione Carifermo, Giorgio Girotti Pucci, prima di lasciare la platea a Stefano Papetti, il critico d’arte che ha curato l’esposizione di 60 opere all’interno del Palazzo dei Priori di Fermo.
Per la presentazione una location inedita, la chiesa di San Domenico, messa a disposizione da don Michele Rogante e dall’arcivescovo Pennacchio. “La decisione di realizzare questa mostra nasce dalla volontà di rendere partecipe la nostra comunità di una parte significativa della collezione di opere della fondazione, a 150 anni dalla nascita dell’artista” riprende Girotti Pucci.
Il nucleo entrale della collezione è stato oggetto di un’attenta catalogazione scientifica e selezione, oggi viene esposta per la prima volta. Dalla varietà ed eterogeneità delle opere in mostra, è nato il titolo: ‘Nello studio di Adolfo De Carolis’. “Il percorso espositivo, che conta di varie sezioni, può dare al visitatore l’impressione di aggirarsi all’interno dell’atelier dell’artista, tra dipinti, disegni, incisioni, fotografie, taccuini di viaggio e altro. Un instancabile e poliedrica produzione dell’artista di Montefiore. Per la prima volta verrà esposto al pubblico il Trittico del mare. Un dipinto – ribadisce il presidente della Fondazione, accompagnato dal presidente Carifermo Palma e dal dg Traini - raffigurante una marina marchigiana frutto di un acquisto tenacemente voluto dall’allora presidente Amedeo Grilli, sempre impegnato nell’individuazione e recupero del patrimonio culturale marchigiano”.
La mostra, allestita da William Timi una nuova iniziativa per rendere fruibile il patrimonio della Fondazione, che non è costituito soltanto da opere di grandi maestri come Crivelli o Pagani, ma anche di autori minori, di raccolte di vario genere, fotografiche, numismatiche, cartografiche.
Una esposizione che mette Fermo in vetrina. Soddisfatto Paolo Calcinaro: “La Fondazione va ringraziata, non solo per questo momento, ma per tanti altri momenti nel corso degli anni (scatta l’applauso alla nomina di Grilli, ndr). Per noi si chiude un bel percorso di mostre, pensato con Maggioli Cultura e il nostro ufficio. Rivedere la Sala dei Ritratti, con la sua grande estensione, così usata ci soddisfa. Piacciono le mostre, cresce il turismo da cultura. La nostra città riserva sempre cose interessanti, oltre a quello che ci accompagna da millenni”.
Eleonora Magni ha curato la catalogazione del fondo, Stefano Papetti ha curato la mostra, alla Maggioli spetta promozione e gestione. Non è voluto mancare Benedetto Luigi Compagnoni, sovrintendente archivistico delle Marche: “Abbiamo appena iniziato l’avvio del procedimento per interesse culturale dell’archivio della fondazione. Il nostro mondo è un po’ cenerentola del ministero e della cultura, ma siamo importanti. Con la Fondazione stiamo lavorando al meglio”.
Un rapporto tra pubblico e privato che può solo crescere. Ne è certo anche Pierluigi Molliconi, membro della Sovrintendenza archeologia e belle arti delle Marche: “Per noi la Fondazione è un punto fermo, insieme negli anni abbiamo sistemato le otto tavolette di Iacobello del Fiore sula vita di Santa Lucia, stiamo restaurando la pala della natività di Vincenzo Pagani, è stata riaperta la chiesa della pietà dove sotto un dipinto di un altare laterale abbiamo ritrovato una deposizione 400esca di Nicola Di Ulisse da Siena. Tutto questo insieme con la Fondazione, che ci supporta e ci stimola”.
È il momento del professor Papetti: “Dopo dieci anni torno a Fermo, dopo l’esposizione dedicata a Fortunato Duranti. La mia scelta è di curare mostre legate al territorio, non in giro come fanno molti colleghi. Il patrimonio marchigiano è di qualità così elevata che deve mostrarsi e non ospitare troppe mostre di artisti forestieri. Come dimostra oggi a Urbino la mostra di Barocci, un grande del 500. Quindi con piacere oggi parlo di De Carolis. È nato a Montefiore, ma in vita ha avuto una notorietà nazionale, non ha lavorato solo nei paesi. Opere importanti a Bologna, ad Arezzo, ha lavorato per Puccini, ha lasciato gli ultimi affreschi a Padova, nella basilica di Sant’Antonio. È morto nel 1928 a 54 anni e non nel momento giusto per lui. Tutto stava cambiando in quegli anni e De Carolis si sentiva estraneo alle nuove correnti che maturavano, gli anni del 900 italiano. Fino agli anni ‘70 del 900, Luigi Dania ha ripreso il suo studio e l’ha riportato dove meritava”.
Il titolo è pensato in relazione a quello che è esposto, conferma Papetti. “La Fondazione da anni acquisisce silografie, genere per cui è ben noto, ma soprattutto il Trittico del Mare, sconosciuto in una villa fiorentina dove fungeva da capoletto. Un lungo restauro, molto complesso. Troverete cinque sezioni che si chiudono con il De Carolis autore di prodotti, dall’etichetta dell’amaro Sibilla, alla confezione per un profumo milanese con il nome scelto da D’Annunzio. Questo era lui, capace di passare dai saloni storici della prefettura di Ascoli ai palazzi di Bologna, da centinaia di metri quadri di affreschi, alla confezione di un profumo: un artista versatile e moderno”.