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8 marzo, impariamo a usare le A

8 Marzo 2023

*Raffaele Vitali

Il Giorno della festa della donna (giornata internazionale dei diritti delle donne) ha come sempre un merito: far parlare di problematiche che ci accompagnano ogni giorno, da sempre. Ci sono i dati, come quello che certifica che una madre su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio. O, per stare al lato formazione, la fotografia dell’università, ovvero del luogo in cui la parità di genere dovrebbe essere un fatto e non un motivo di studio.  

Il 60% dei laureati sono donne e in media le donne chiudono con un voto più alto. Eppure, una volta sul lavoro guadagnano almeno il 20% in meno e ricoprono solo il 19% dei posti dirigenziali. In Ateneo, poi, ancora peggio visto che il 75% dei posti da professore ordinario è affidato all’uomo.

E poi c’è il pinkwashing, quel fare qualcosa per pulirsi la coscienza, come i bandi per le imprese femminili, gli assegni a tempo per alleggerire il carico familiare o il biglietto scontato al cinema.

Restano invece i nodi strutturali, quelli che per cambiare devono diventare priorità a livello governativo. Ecco che qui arriva il ruolo delle donne stesse. Perché se si continua ad aspettare l’uomo, di anni ne passeranno ancora. Secondo il World Economic Forum ce ne vorranno 132 per superare la disparità di genere.

Se pensiamo al primo dato, arriva il figlio e lascia il lavoro, si potrebbe partire da lì, garantendo posti in asilo nido, ma non a 500 euro al mese come accade spesso per carenza a livello pubblico. E poi, perché le donne devono guadagnare meno? Anche qui, una volta al comando, la donna potrebbe incidere con politiche mirate e non proseguire quelle dell’uomo.

Infine, la questione lessicale. Usare parole declinate al femminile continua a essere un mezzo tabù, tranne che per infermiera, badante, dottoressa e altri ruoli di assitenza. Un tabù in primis per le stesse donne. Ma se non si usano i termini la questora, la presidente, la sindaca, l’avvocata, l’assessora per desiderio di parità, almeno lo si faccia per l’italiano.

Donne Volanti ph Lorenzo Cicconi Massi

“L’uso del temine professionale al femminile può dar fastidio perché non abbiamo l’orecchio abituato. La lingua vive nell’uso. Ci può dar fastidio, perché non siamo soliti sentirlo pronunciare. Il problema quindi è nella mancanza di ascolto”. A dirlo è il professor Bambi dell’Accademia della Crusca.

Se non lo usiamo, non ci abituiamo. Bisogna cominciare in comune dai comunicati per passare ai convegni e ai moenti pubblici. La Meloni vuole essere chiamata ‘il presidente’ nelle comunicazioni ufficiali? Faccia pure, ma poi la stampa usi l’italiano, dalla televisiva ai quotidiani, e dica la presidente. Non le si fa uno sgarbo, si rende onore al vocabolario. E un po’, devono crederci però anche le donne, anche alla parità di genere.

*direttore www.laprovinciadifermo.com

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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